Recensione Tomb Raider: La culla della vita (2003)

Seconda prova cinematografica per Lara Croft dopo un esordio tutt'altro che positivo. Sarà bastato il cambio alla regia per risollevare le sorti dell'eroina sul grande schermo?

La culla della noia

E' triste assistere a film del genere, vedere cineasti che producono, dirigono, scrivono dei lavori che si trascinano piatti e svogliati per le due ore della loro durata.
Quello che fa più tristezza in questo caso, è che il gioco, almeno se ci riferiamo al primo capitolo della serie, era un gran bel gioco. Ha forse fatto il salto da buon gioco a fenomeno mediatico grazie alle fattezze della protagonista (e a qualche poligono nei punti giusti), ma alla base c'era comunque un prodotto di qualità, con un gran lavoro alle spalle, che spaziava con misura e intelligenza tra avventura e azione, con quel pizzico di mistero che non guastava.
Nel film non resta altro che la parte furbetta dell'operazione Tomb Raider, impersonata per la seconda volta dalla bella e altrove brava Angelina Jolie.
Non che qui la Jolie non sia brava, ma il personaggio di Lara Croft è ridotto a tale pochezza narrativa da poter essere impersonato da qualunque modella gettata allo sbaraglio sul grande schermo.
Un vero peccato perchè il gioco presenta tutte le caratteristiche per poterci costruire intorno un prodotto interessante, entusiasmante e ricco. Se ci pensiamo bene, occupa la stessa nicchia di fenomeni di ben altro valore, come i vari 007 e i vari Indiana Jones della coppia George Lucas/Steven Spielberg, ma di questi ultimi non condivide nemmeno un minimo di inventiva, ironia, brio e, lasciatemelo dire, intelligenza.

Questo secondo capitolo, in particolare, vede Lara Croft impegnata nel recupero del vaso di Pandora, rubato dal boss del crimine cinese Chen Lo. Ma da un soggetto potenzialmente interessante, la trama si sviluppa in una mera sequenza di scene d'azione spettacolari, almeno nelle intenzioni, alternate a fasi di dialogo di una noia inverosimile; si susseguono così situazioni al limite della credibilità (ma considerando il genere ci sta anche bene) e del colore amaro del grottesco involontario (si pensi al pugno sul naso dato da Lara allo squalo, prima di strappargli un "passaggio" attaccata alla pinna), spesso slegate e gettate lì senza una struttura narrativa solida a sostenerle (Lara sott'acqua, Lara che si allena a combattere, Lara che va a cavallo...), con l'unico scopo di mostrare l'eroina in diversi atteggiamenti e vestiti, come una barbie per maschietti adolescenti.

Purtroppo per gli autori, un film dovrebbe essere qualcosa di più complesso e articolato, cosa che Jan de Bont (Speed, Twister) non è stato in grado di gestire, con l'aggravante, rispetto al suo predecessore Simon West, di darsi un tono serio che non giova alla pellicola e rende il tutto fastidioso, oltre che noioso.
Dal punto di vista puramente tecnico, niente da ridire: il film si mantiene su standard abbastanza alti e certo non sono mancati i mezzi per poter mettere in scena quello che volevano e come volevano. E si nota soprattutto nell'ampia varietà nella scelta delle location e nella costruzione delle scenografie, che seguono gli spostamenti di Lara sottolineando discretamente dal punto di vista visivo i diversi luoghi che lei attraversa (e sono tanti).
Il problema è ancora alla base e ne risentono anche alcune scene d'azione tirate per i capelli e dirette senza passione e senza anima.

A parte la Jolie, non c'è molto da segnalare in un cast alle prese con una sceneggiatura fantasma, in cui già non risultare ridicoli è impresa ardua.
Anche la musica di Alan Silvestri sa di già sentito, ma si sa che comporre musica per un film che non ha carattere è molto difficile e di solito ci si limita a lavoro di routine, mantenendosi sul puro accompagnamento.
In definitiva, il risultato è un film adatto solamente ai follemente innamorati della Jolie e ai fan sfegatati dell'archeologa Lara Croft... ma anche questi ultimi preferiranno i videogiochi, ben più divertenti ed emozionanti.

Movieplayer.it

2.0/5