Il 2016 si è aperto con un dibattito sociale e politico di fondamentale importanza per l'Italia: il DDL Cirinnà si è posto come obiettivo quello di regolare legalmente l'esistenza (e quindi i diritti) delle coppie omosessuali e delle famiglie alternative, quelle cioè non composte da una madre, un padre e uno o più figli. Per la prima volta in Italia si è discusso a livello parlamentare un tema che al contrario in Europa e nel resto del mondo sembra essere stato già analizzato e sviscerato, tanto da essere entrato ormai nella cultura popolare anche attraverso l'arte - che da sempre declina e ci aiuta a comprendere meglio ogni aspetto della nostra esistenza. Il nucleo familiare è uno dei temi più sviscerati, che proprio grazie alla sua complessità offre all'occhio della macchina da presa nuovi spunti, sfaccettature, angoli da analizzare meglio per poter comprendere come anche meccanismi a noi estranei possano diventare fonte di interesse.
È questo l'obiettivo principale di La comune di Thomas Vinterberg, al cinema dal 31 marzo, che a partire dal retaggio dogmatico dell'idea di famiglia espande il suo nucleo in maniera incontrollata, creando intorno a Erik, Anna e la loro figlia adolescente Freja una vera e propria comune: una casa troppo grande che da intimo nido diventa microsocietà con proprie regole e propri meccanismi, e che proprio in quanto tale si apre a nuove complessità sempre più difficili da tenere insieme. Freja, l'adolescente che si trova improvvisamente catapultata in questo affollato mondo fatto di nuove mamme, papà e fratelli, offre a Vinterberg la sua maturità ancora acerba per diventare detonatore di una situazione troppo traballante e ben lontana dall'idea di felicità che, come insegna La Comune, non sempre è sinonimo di libertà assoluta. Un punto di vista lucido e amaro che analizza disagi profondi, malesseri e inquietudini irrisolte all'interno di una dinamica di coppia ormai sfilacciata e traballante.
Mamma, Mamma e un papà sconosciuto: I ragazzi stanno bene
La Comune è tuttavia solo l'ultimo esempio di come un nucleo familiare "diverso" possa essere analizzato cinematograficamente e diventare così specchio di una riflessione non sempre drammatica ma, al contrario, profondamente positiva. È il caso di I ragazzi stanno bene, un piccolo esperimento targato 2010 che per la regista Lisa Cholodenko è più di un semplice film ma quasi una sfida personale: rimasta incinta lei stessa di un bambino avuto grazie ad un donatore anonimo, la regista racconta la storia di Nic (Annette Bening) e Jules (Julianne Moore), madri con due splendidi figli che tuttavia all'alba della loro maggiore età sentono l'esigenza di dare un volto a quel donatore che gli ha regalato metà del corredo genetico, e che è sempre rimasto anonimo nelle loro vite.
I ragazzi stanno bene racconta la ricerca d'identità all'interno di un nucleo in cui la figura paterna risulta assente ma non mancante, ed in cui il personaggio di Mark Ruffalo si inserisce in maniera naturale, ben lontano dal moralismo benpensante legato al dogma famiglia. Al contrario de La Comune, I ragazzi stanno bene riesce nella difficile impresa di raccontare una normalità alternativa in maniera positiva, accompagnando per mano lo spettatore all'interno di una famiglia serenamente diversa e mai forzata. Un'identità di coppia nuova si trasforma così in un'anomalia finalizzata al raccontare la normalità, mentre l'angolatura non convenzionale aiuta perfino i più scettici a prendere confidenza con la serenità di una famiglia non tradizionale.
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Mamma, Mamma e un amore proibito: Two Mothers
L'idea di un nucleo familiare sano è spesso legato non solo all'identità dei genitori ma anche al rispetto dei ruoli: madre, padre e figlio diventano così dei sistemi chiusi in cui cercare una via d'uscita non solo è impensabile, ma perfino proibito. L'esplorazione della fluidità anagrafica è prerogativa di Two Mothers, dramma raccontato da Anne Fontaine con protagoniste Robin Wright e Naomi Watts. Le immagini della regista lussemburghese, che traducono in pellicola le scandalose pagine di Doris Lessing, analizzano non solo la mancanza di una figura paterna ma anche dell'uomo in quanto compagno.
Due madri migliori amiche si ritrovano a crescere due figli maschi in simbiosi, complice anche l'assenza di un padre deceduto da una parte e assente dall'altra, e con il passare degli anni rendono il loro quartetto un sistema impermeabile in balìa dell'imprevedibilità del desiderio. Two Mothers si muove all'interno di una sessualità che sembra rifiutare qualsiasi contaminazione esterna e che centralizza l'attenzione sul particolarissimo sistema famiglia formato dalle due amiche e dai due figli, sdoganando non solo l'idea di incesto - seppur attraverso gli occhi e i corpi di figli di altri - ma anche il latente omoerotismo che più di una volta è sottolineato tra le due protagoniste.
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Papà, Papà e un figlio involontario: Any Day Now
Il completamento di una coppia avviene molto spesso attraverso il desiderio di avere un figlio, sia esso ragionato o quasi casuale come nel caso di Any Day Now - che ha riscosso un grandissimo successo di critica e pubblico. La storia (vera) è quella della Drag Queen Rudy Donatello, che quasi per caso si trova a volersi occupare del figlio della sua vicina tossicodipendente - affetto dalla sindrome di Down - e per farlo si trova a chiedere aiuto a Paul Fliger, procuratore distrettuale con cui ha avuto un fugace rapporto sessuale.
Any Day Now racconta di una famiglia sgangherata, formata quasi involontariamente ma dall'immediata umanità ed empatia, che si stringe in se stessa nel tentativo di riscattare un affetto che non riesce ad arrivare dall'esterno, tanto meno da quella grande famiglia chiamata America che a volte abbandona i suoi figli più problematici come il quattordicenne Marco o lo stesso Rudy. L'armonia in questo caso passa per l'accettazione di se stessi, in momenti di grande affetto e grande rabbia, ma alla fine riesce comunque a trovare una sua armonia a dispetto di un mondo che fa di tutto per disintegrare il loro fragile equilibrio.
Mamma e papà, una famiglia per forza: The Wedding Banquet
Esattamente ventitré anni fa, nel 1993, iniziava il viaggio di Ang Lee attraverso la tematica omosessuale. Sarebbero venuti in seguito I segreti di Brokeback Mountain e Motel Woodstock, ma prima di loro tutto iniziò con una commedia tanto semplice quanto esilarante: Il banchetto di nozze (The Wedding Banquet). In essa, la storia di un ragazzo di nome Wai-tung che abbandona un nucleo familiare soffocante lasciando in Taiwan le sue menzogne, per vivere a New York la sua omosessualità insieme al compagno Simon. Il desiderio di vedere Wai-tung sistemato con una brava ragazza (e soprattutto a capo dell'ormai famosissima "famiglia tradizionale") porta tuttavia i genitori a volare fino a New York per assistere ed organizzare quello che in realtà non è altro che un matrimonio-farsa, ben presto trasformato in una realtà tanto surreale quanto necessaria. Nel muovere i primi passi all'interno della sua stessa poetica, Ang Lee sintetizza gli stereotipi del più classico nido familiare sconfessandone le innumerevoli maschere, conquistando lo spettatore con semplicità e humor dissacrante, dimostrando un po' come tutti i suoi colleghi che la complessità dei sentimenti umani non può essere ridotta ad uno schema preconfezionato, ma può e deve mettere in conto innumerevoli variabili. Uno spettro dai mille colori e altrettante sfumature, che da una neonata famiglia di convenienza fino ad un'allargata comune di amici si fa alfa e omega di un discorso dalle mille sfaccettature, che trova nel cinema il mezzo naturale in cui provare a districarsi.
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