Recensione Shopgirl (2005)

Una commedia elegante e misurata, con un tocco leggerissimo, che soffre però di un'eccessiva convenzionalità di sceneggiatura che finisce per farle perdere credibilità.

La commedia romantica secondo Steve Martin

Sarah è una ragazza del Vermont che si è trasferita da poco nella scintillante Beverly Hills: artista per passione e commessa per necessità, la giovane osserva le vite altrui dal semideserto reparto guanti del negozio di abbigliamento in cui lavora. Sarah ha una relazione sempre più stanca con Jeremy, uno svagato musicista ancora in cerca della sua strada; ma l'incontro con Ray, affascinante uomo d'affari cinquantenne, avrà l'effetto di un terremoto per la ragazza, che finirà per lasciare Jeremy inseguendo il miraggio di una sognata stabilità insieme al nuovo compagno.

E' elegante e misurata, questa commedia romantica di Anand Tucker, ispirata a un romanzo di Steve Martin (autore della sceneggiatura oltre che interprete del personaggio di Ray). La regia, minimalista nella messa in scena, descrive bene il senso di spaesamento e solitudine di Sarah, ma anche l'inadeguatezza di Jeremy e Ray, entrambi a disagio nei rispettivi ambiti sociali. Mostra empatia per i suoi personaggi, lo sguardo del regista, con un tono dolceamaro che diverte ed emoziona, ma sempre "sottovoce", lavorando per sottrazione. A non convincere completamente è tuttavia la sceneggiatura, che finisce per "ingabbiare" i protagonisti in eccessive tipizzazioni, non descrivendo adeguatamente la loro evoluzione, lasciata spesso (e stavolta è un difetto) all'immaginazione dello spettatore. Una convenzionalità di scrittura che finisce per far perdere credibilità alla storia, che vorrebbe essere "morale" senza avere la lucidità di approccio necessaria.

Restano comunque la bontà sobria, esteticamente impeccabile, del tocco del regista, la ricercatezza degli ambienti, l'intenzione di sviluppare un tono realistico a cui lo script non è riuscito, fino in fondo, a dare seguito. Resta nella memoria anche il volto di Steve Martin, maschera apparentemente impassibile sotto la quale si agitano emozioni contrastanti, rese in modo impeccabile da un attore che, se ce ne fosse bisogno, dimostra di conoscere il ruolo alla perfezione. E proprio alla luce di questo, oltre che della bontà della regia, è un peccato che lo stesso Martin non sia stato coadiuvato da qualcuno per la stesura dello script, in modo da tradurre al meglio per il cinema quelle contrastanti sensazioni che si agitano sotto le sue pagine.

Movieplayer.it

3.0/5