La banda del Quarticciolo
Cinque sono i sensi con cui l'uomo percepisce il mondo e interagisce con esso. Cinque è il numero della saggezza, sia quella legittima che quella proibita, ma soprattutto cinque sono Gianni, Manolo, Luigi, Emiliano e Fabrizio, legati da una fedeltà fraterna nella vita come nella morte. Compagni di sventura dentro un riformatorio minorile e alleati per la sopravvivenza, i ragazzi rappresentano il prodotto di una periferia romana dove il guadagno illegale ha preso il posto del lavoro ed il riscatto sociale è rappresentato da una rapina fin troppo fortunata per essere vera. Ma non sempre cambiare vita si trasforma in un evento positivo. Inebetiti da un'enorme disponibilità economica ed inconsapevoli degli usi di una criminalità di alto livello, Gianni e compagni si lanciano in un gioco al rialzo di cui non conoscono regole e trucchi. Così, tra un traffico di droga particolarmente remunerativo, donne perennemente sull'orlo della prostituzione, alleati infedeli e la minaccia della mafia russa, i ragazzi del Quarticciolo giocano ai gangster senza pistole. I soldi non mancano così come la presunzione degli inesperti e dei deboli, ma la resa dei conti non tarda ad arrivare. La fama e la gloria hanno sempre un prezzo e per i cinque èil valore inestimabile della vita stessa.
Da quando Romanzo Criminale ha fatto la sua comparsa sul grande schermo, il cinema italiano sembra aver riscoperto il genere crime d'epoca. Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria e Pierfrancesco Favino, capitanati dal regista Michele Placido, hanno dato vita ad una vera ossessione che dal grande schermo è riuscita a contagiare anche la TV. Un'infatuazione, questa, che sotto molti aspetti sembra aver catturato l'attenzione di Franscesco Dominedò, sedotto dal brivido di un gangster nostrano per il suo personale racconto di criminalità metropolitana.
Nonostante si tratti di una produzione low budget con risoluzioni estetiche decisamente basilari, questo esordio si piega ben più che ad un solo omaggio all'illustre predecessore. L'ambientazione periferica, la composizione del gruppo e la forte caratterizzazione dei cinque protagonisti completano un quadro dagli elementi fisici ed emotivi già conosciuti. Unica differenza la natura improvvisata, semplice e a tratti cialtronesca che contraddistingue questo nuovo gruppo di delinquenti troppo naif per competere con i professionisti del mestiere, a cui si accompagna una scenografia umana e ambientale così abbondantemente strutturata da rendere improbabile il possibile.
Facendo leva su di un background in cui l'amore per l'horror si mischia alle sue esperienze nei videoclip, Francesco Dominedò organizza intorno ai protagonisti di 5 (Cinque) un ambiente che nasce e si nutre nell'eccesso. Sovrastata da un'estetica costruita nell'oscurità di un club di lap dance o nelle tane per sniffatori, la realtà del quartiere e della periferia romana scompare quasi del tutto, lasciando alla rappresentazione dell'assurdo il compito di voce narrante. Così, oltre un tappeto musicale debordante, un costante uso dello zoom accelerato ed una serie di loschi figuri dall'impensabile esistenza, s'intravede una sceneggiatura che, con una certa costanza, cede alla tentazione della semplificazione. La volontà del regista di dare vita ad un percorso dal carattere fumettistico è conclamata ma l'intreccio narrativo tradisce le aspettative del suo stesso creatore rendendo discontinua anche la chiave ironica. Unici a cavalcare agevolmente lo spirito ludico del progetto sono i cinque componenti della banda che, soprattutto nell'inaspettata follia di Matteo Branciamore a cui fa da controcanto la timida fedeltà di Alessandro Borghi, gioca a districarsi fra serio e faceto per regalare l'immagine di un romanzo criminale che può anche intrettenere ma non fa paura a nessuno.Movieplayer.it
2.0/5