L'urlo di Dre colpisce ora
Lo spiega bene il titolo in italiano: la "leggenda" delle arti marziali al cinema non si è affatto esaurita. Cambiano gli scenari, i volti e perfino i tempi, ma lo spirito che ispirò nel lontano 1984 Karate Kid: Per vincere domani, sciolto e perso coi numerosi sequel commerciali, resta e sembra anzi rinverdito da nuova linfa giovane. Non dev'essere stata casuale allora la scelta di abbassare l'età del protagonista e del pubblico di quello che nel 2010 risulta un miniaction, ma solo per l'anagrafe, e si sottrae ai banali e frequenti processi di rifacimento stagionali: se è vero che il film diretto da Harald Zwart trae ispirazione dall'originale, non passi in secondo piano l'importanza di un autentico omaggio che trama, arti marziali e perfino micro sequenze memorabili appositamente rimodernate contribuiscono a regalare tanto al passato quanto alle platee odierne. Che si consumino pure quintali di popcorn tra folti gruppi di teenager irrequieti! The Karate Kid: La leggenda continua riesce a evitare un tiro troppo ambizioso e in questo modo aggiusta il suo sulla tendenza di una semplicità strutturale e tematica gradevole e ammiccante.
La storia si sviluppa intorno all'adolescente Dre Parker, interpretato da un Jaden Smith che ricorda il padre Will perfino nelle movenze molleggiate del primo Willy, Il Principe di Bel Air e che cresce bene confermandosi promettente figlio d'arte. Il ragazzino si è appena trasferito con la madre da Detroit in Cina in seguito alla morte del padre e subito un gruppo di bulli dagli occhi a mandorla gli ha dato filo da torcere a causa delle sue attenzioni per la dolce violinista Mei Ying. Sfidato a un torneo di kung fu per pareggiare i conti, impara da zero l'antica arte marziale cinese grazie alle insolite lezioni di Mr. Han, un insospettabile maestro, l'uomo della manutenzione, solitario e silenzioso, che inizialmente lo fa focalizzare sul solo giacchetto (e non più sulla cera per auto come avveniva 25 anni prima con l'indimenticato Miyagi) arrestando l'impazienza di un abile rapper. Scattante con uno stile visivo che emula in più inquadrature la saga del mitico Bruce Lee, con il carrello che si ferma sullo sguardo precombattimento, concentrato sull'avversario, e poi indietreggia veloce per riempirsi con l'azione o si allarga durante un adrenalinico inseguimento urbano. Divertente con le sue numerose strizzatine cinefile, che citano Star Wars - con l'irresistibile battuta dell'allievo al maestro: "Lei è come Yoda e io sono come uno Jedi" - e non rinunciano alla versione tarantiniana de Il volo del calabrone. Commovente coi suoi risvolti sentimentali (il rapporto padre senza figli-figlio senza padre e il primo amore impacciato e contrastato) come Kung Fu Panda, del quale sembra in alcuni momenti una bonaria parodia, The Karate Kid rappresenta un riuscito esempio di reboot, e non di riciclaggio, che avvicina i più giovani a un franchise che fece fortuna tra gli anni '80 e '90 e ingranò gradualmente la marcia verso la meritata "cultificazione", confermata oggi perfino dalle retrospettive festivaliere. Sullo sfondo di scenari davvero suggestivi come l'imponente Grande Muraglia, percorsa come la storica scalinata del Museum of Art in Rocky, e la Città Proibita, tornata sul grande schermo a più di vent'anni da L'ultimo imperatore, aggraziato da momenti di delicata e zuccherina tenerezza e accompagnato dall'avvincente colonna sonora di James Horner (Titanic), il film scorre piacevolmente, ma risente di una durata eccessiva, che rallenta il ritmo del film nella seconda parte. Convincente la prova di Smith junior, sebbene finisca per essere oscurata dalla verve dell'esperto Jackie Chan, capace perfino sotto il berretto di un tuttofare immalinconito dal passato di dare luce a un'opera che trova i suoi precisi equilibri nelle coppie, come quella rispetto-slealtà che da sempre stringe le cinture nere dei campioni più ammirati dalle sale di tutto il mondo.