La cosa più riuscita de L'esorcismo - Ultimo atto è l'inside joke iniziale, che scherza sull'ossessione moderna che ha il cinema riguardo i remake, i reboot, i franchise. Altra trovata interessante, quella riguardante il lavoro dell'attore, e di quanto sia mentalmente e fisicamente usurante, se il ruolo richiesto ha un notevole impatto emotivo. Altra cosa interessante, lo spunto iniziale che, secondo lo spirito di Joshua John Miller, calzerebbe alla perfezione in un climax non tanto horror quanto più thriller (pochi jumpscare, poca tensione, poca inquietudine), spingendo sul background di un protagonista teoricamente efficace.
Un'efficacia suggerita anche grazie ad un Russell Crowe che ritrova (qui per finta) l'abito talare dopo lo scult L'esorcista del papa (perché qualora non fosse chiaro, L'esorcismo - Ultimo atto NON è il sequel del suddetto film). Un mix generale, che riprende tonalità e vibrazioni estetiche tipiche del cinema anni Novanta (tant'è che producono Miramax e Kevin Williamson), applicandole ad una commistione di generi che dovrebbe poi catturare l'attenzione. Il condizionale è però d'obbligo, perché poi il film di Miller, pur restituendo al pubblico novanta minuti di puro intrattenimento, sfilaccia i buoni presupposti, fermandosi forse sul più bello.
L'esorcismo - Ultimo atto, il duro lavoro dell'attore
L'esorcismo - Ultimo atto inizia con una sequenza ambientata in un set di un film horror in produzione. Il problema, è che il set sembra in un certo senso maledetto (anche qui diversi ammiccamenti alla cultura pop, come quello alla maledizione di Poltergeist), tanto che l'attore che avrebbe dovuto interpretare l'esorcista muore misteriosamente. Al suo posto viene scritturato Anthony Miller (Russell Crowe), con un passato turbolento e con un complicato rapporto con la figlia Lee (Ryan Simpkins). Anthony accetta la parte, ma ben presto inizia a subire ferocemente il personaggio, anche perché, verremo a sapere, ha subito una violenza da un prete quando era ragazzino. Più entra nel personaggio, avvicinandosi alla Fede necessaria per "credere" nel copione, più l'uomo inizia a cambiare, mostrando segni demoniaci.
Gli esorcisti, un segno distintivo della famiglia Miller
Se L'Esorcismo - Ultimo Atto di paura ne fa poca, è perché sembra più giocare con le sensazioni e i paradigmi del genere horror, inseriti in un contesto meta-cinematografico, che oggi sembra far da padrone. Il regista, su questa direzione, gioca seguendo un approccio stilistico che affascina per colori e umori, aggiungendo qua e là qualche porta che scricchiola e qualche apparizione sullo sfondo. Niente di più, per quella che sarà poi una vicenda che in un certo qual modo si sofferma su una burrascosa relazione padre-e-figlia. Un aggiunta alla trama, che tenderebbe a dar spessore al personaggio di Anthony Miller, attore sull'orlo del baratro di cui vorremmo sapere di più (e che Crowe traduce "indossando" uno sguardo torvo e basso). Tuttavia, lo spessore si rivelerà superficiale (è pur sempre un'opera da bibita-e-pop-corn, e quasi avulso dal turning point che arriva a metà del film.
Dopo un iniziale divertimento, anche grazie al buon gusto estetico del regista (buon lavoro quello di Simon Duggan alla fotografia), L'esorcismo - Ultimo atto riempie i tempi morti senza continuità e senza tensione, accompagnandoci fino al finale che porta con sé una (mezza) rivelazione. E sì, se ve lo state chiedendo, Joshua John Miller è nato e cresciuto nel segno degli esorcisti, essendo figlio di papà Jason che, nel 1973, divenne il leggendario Padre Damien Karras nel capolavoro di William Friedkin. In qualche modo un film sintomatico, e fortemente voluto dal regista (che ha scritto la sceneggiatura insieme a M. A. Fortin), che volontariamente scherza con il genere e con gli archetipi tipici dell'esorcista, offrendoci, però, un film sbilenco che potrebbe essere apprezzato per il suo intrinseco spirito da B-Movie.
Conclusioni
Russell Crowe ancora esorcista - questa volta in modo diverso - per il film di Joshua John Miller, che non è il sequel de L'esorcista del papa, bensì un titolo originale che riflette sul rapporto padre-e-figlia, fermandosi però ad una tensione pressoché assente. Una buona idea iniziale, ma l'apporto horror, pur sfruttando una buona estetica, non è mai mordace, esaurendosi dietro l'approccio di un b-movie di superficiale intrattenimento. Potrebbe diventare uno scult.
Perché ci piace
- Una buona estetica.
- Una buona idea di partenza.
- Diversi inside jokes.
Cosa non va
- Poca tensione.
- Uno scripit che arriva stanco al finale.