Recensione L'uomo che ama (2008)

La storia è apparentemente molto convenzionale e non dissimile da tante opere italiane che trattano i sentimenti e le crisi d'incomunicabilità di coppia post-trent'anni, ha in realtà dalla sua parte un paio di armi in più rispetto all'equivalente prodotto medio.

L'amore degli uomini

ll film di apertura della terza edizione del Festival del film di Roma è L'uomo che ama, opera seconda della figlia d'arte Maria Sole Tognazzi, che vede protagonista un intenso Pierfrancesco Favino nel ruolo di un uomo che soffre e fa soffrire per amore. Il punto centrale del dibattito suscitato da questo film prima e dopo la presentazione romana sembra essere l'inedita visione dell'amore maschile non più machista e superficiale ma tanto profondo e struggente quanto quello delle controparti femminili. Non certo una grande novità a dirla tutta, perché considerare questa come una vera innovazione sarebbe da sprovveduti visto che i maschi hanno detenuto l'egemonia anche dei sentimenti in letteratura e in musica e, magari in misura minore, anche al cinema. Alla settima arte è forse mancato finora il film che avesse questo come tema centrale, ma certo non sono mancate figure di uomini che hanno sofferto per amore. Per fortuna questo non è l'unico motivo di interesse per un film che si propone come uno sguardo drammatico e asciutto sull'amore e sulle relazioni sentimentali tra esseri umani indipendentemente dal genere.

Settembre. Roberto è un farmacista di Torino che vive un rapporto estremamente felice, almeno all'apparenza, con la sua nuova compagna Sara (Kseniya Rappoport, già in concorso a Roma due anni fa con La sconosciuta di Giuseppe Tornatore), manager di hotel di origine russa. Proprio nel momento in cui le cose sembrano andare per il meglio, e Roberto si appresta a invitare la sua donna a trasferirsi da lui, qualcosa cambia e il loro rapporto finisce improvvisamente. L'impossibilità di accettare la fine di questo rapporto ha effetti devastanti su Roberto che cerca di riconquistare l'amore di Sara ma fallisce miseramente quando lui inizia a scivolare nell'ossessione.
Marzo. Roberto vive una relazione apparentemente più solida e matura con Alba (un'affascinante Monica Bellucci in un ruolo meno glamorous del solito) con cui convive e con cui è alla ricerca di una nuova casa per mettere su famiglia. E' il fratello Carlo ad avere problemi sentimentali, perché ha rotto improvvisamente con il compagno Yuri, ma soprattutto perché gli è stata appena diagnosticata una grave malformazione cardiaca da operare al più presto. Roberto ha così modo di riflettere sui propri sentimenti e sui rapporti interpersonali trovandosi di fronte alla realizzazione di non amare più la sua compagna, e quindi nella situazione di chi abbandona.

La storia è apparentemente molto convenzionale e non dissimile da tante opere italiane che trattano i sentimenti e le crisi d'incomunicabilità di coppia post-trent'anni, ha in realtà dalla sua parte un paio di armi in più rispetto all'equivalente prodotto medio: una confezione ben curata a partire dal bel lavoro di Arnaldo Catinari, che benfotografa sia gli interni che una Torino malinconica e fumosa, alla colonna sonora della "esordiente" Carmen Consoli - al suo primo score per il cinema - e soprattutto una struttura narrativa su due diversi piani temporali che riesce, se non a sorprendere, per lo meno a far ripensare l'intero film da un altro punto di vista; un grande pregio per un film di questo genere, in un panorama in cui prodotti analoghi finiscono per lo più nel dimenticatoio allo scorrere dei titoli di coda.

Il risultato avrebbe potuto essere anche più felice se fossero stati limati alcuni problemi in fase di dialogo, evitando scene non sempre riuscite o funzionali, inserite solo per calcare la mano sull'aspetto "inedito" del denudamento dei sentimenti di quest'uomo e avvicinarlo ad una sensibilità più femminile. Ne consegue che in alcuni casi anche il cast, che è senz'altro di buon livello, non rende quanto avrebbe potuto se sorretto da uno script più equilibrato e dotato di una maggiore leggerezza: spiccano per carisma la grande Marisa Paredes, non certo supportata dal doppiaggio certamente necessario ma anacronistico nel 2008, e i due giovani attori emergenti Michele Alhaique e Glen Blackhall che si ritagliano alcune delle scene più piacevoli e toccanti dell'intera pellicola.
A dimostrazione del fatto che gli uomini sanno amare, eccome.

Movieplayer.it

3.0/5