Recensione Inland (2008)

Faticoso e rarefatto ma in grado di offrire momenti di grande cinema nonostante i suoi 140 minuti di narrazione, Gabbla si presenta allo spettatore come un'esperienza estenuante, quasi ipnotizzante.

L'Algeria di oggi

Dopo Teza, l'osannato film etiope di Haile Gerima, è un altro film africano a 'movimentare' il concorso di questa 65ma edizione della Mostra del Cinema di Venezia e a fomentare le platee di critici e appassionati. Si tratta dell'algerino Gabbla (Inland), serio candidato a ricevere un premio importante a questa 65ª Mostra di Venezia. Con Gabbla, parola che in arabo sta ad indicare l'entroterra, il quarantenne regista di origini algerine Tariq Teguia continua a tracciare la mappa della nuova Algeria, già tratteggiata due anni fa con il suo lungometraggio d'esordio Roma wa la n'touma (presentato in Mostra nella sezione Orizzonti). Lo fa raccontando il percorso di un topografo inviato in missione nell'entroterra del suo Paese, territori segnati dalla follia del terrorismo islamico e dalla guerra, che ha lasciato ingombranti tracce ancora perfettamente visibili. Ma Teguia con questo film ha voluto andare oltre, fuggire da tutto questo guardando al futuro, percorrere un intimo viaggio 'dentro' il suo Paese, verso Sud, verso il confine, verso la catarsi dell'anima e del linguaggio cinematografico nel senso più stretto del concetto.

Malek è un topografo, misura i luoghi, calcola le distanze, simbolicamente segna i perimetri e delimita porzioni di territorio. Un giorno viene inviato in una regione occidentale del suo paese per una serie di rilevamenti che serviranno alla costruzione di una linea elettrica. Dopo qualche giorno passato nella zona ed esser stato più volte svegliato da esplosioni, Malek si accorge che il suo rifugio è a due passi da un campo minato concepito dalle autorità per impedire l'ingresso nel paese agli immigrati. Poche ore dopo scopre che una giovane donna straniera si è rifugiata nella sua roulotte: si tratta di un'immigrata clandestina proveniente da sud sfuggita alla trappola mortale e diretta in Spagna in cerca di un futuro migliore. Stanca e spaventata però la ragazza rifiuta di proseguire il suo viaggio e chiede a Malek di riaccompagnarla a casa. I due intraprendono così un improvvisato viaggio on-the-road attraverso le terre disastrate del sud est.

Malek, il suo sguardo disincantato nei confronti della vita e di un Paese che non sa ancora che direzione prendere, sono racchiusi in una pellicola dal fascino indiscutibile, nella quale si possono scorgere magnifiche inquadrature urbane e paesaggi desertici perfettamente amalgamati dalla regia lucida, minimalista ma dal sapore assai moderno di Tariq Teguia, un autore del tutto sprovvisto del dono della sintesi. Faticoso e rarefatto ma in grado di offrire momenti di grande cinema nonostante i 140 minuti di narrazione, Gabbla si presenta allo spettatore come un'esperienza estenuante, quasi ipnotizzante, dal ritmo lentissimo, dai dialoghi pressoché inesistenti, dilatata da lunghe sequenze che vanno a scandire gesti e situazioni banali, apparentemente superflue ma di grande significato ai fini dell'individuazione del contesto in cui la storia si svolge. Il segreto sta nell'attendere, nell'osservare attentamente e nel cercare di raggiungere la stessa lunghezza d'onda su cui viaggia l'autore: solo in questo modo si può riuscire a comprendere fino in fondo il motivo di certe scelte, di certi riferimenti visivi, di certe concessioni stilistiche che sembrano poste esattamente a metà tra il cinema puro, il documentario e istantanee di luoghi stranianti che offrono scenari di rara poesia come quelli mostrati verso il finale, paesaggi rocciosi che sembrano appartenere ad un altro pianeta, ad una dimensione che esula da tempo e spazio e in cui l'uomo appare come l'intruso.

Fermenti sociali, movimenti sovversivi, terre di confine, squarci metropolitani, ma soprattutto i panorami sconfinati dell'entroterra algerino in questo Gabbla, luoghi lontani da tutto, aridi e desolanti, contemplativi come pochi altri al mondo. E' ammirevole e merita un grande applauso Teguia per averci regalato un film d'autore vero, quello che ti aspetti ad un festival come quello veneziano, per aver offerto alla platea del Lido immagini di grande fascino ed aver così magnificamente dipinto i deserti africani. Ma il plauso maggiore va ai pochi spettatori (sottoscritta compresa) che hanno resistito in sala fino alla fine portando a termine un 'sacrificio' non indifferente ma oltremodo appagante a livello sensoriale.
Gabbla è cinema rarefatto in cui si avvicendano inquadrature fisse e coraggiosi piani sequenza (straordinario quello in soggettiva sui binari del treno e quello della rotazione di 180 gradi finale), e solo dopo una lunga riflessione ci si rende conto di aver assistito ad un'opera magistrale a livello visivo, senza dubbio indigesta per lo spettatore medio e per il pubblico moderno abituato ai ritmi sincopati di Hollywood, ma di grandissimo valore assoluto.

Movieplayer.it

4.0/5