C'è un filone che si sta facendo sempre più strada in tv negli ultimi anni, evidentemente per una necessità non solo di rappresentazione ma anche di non dimenticare il passato e provare a migliorare il presente. Che poi è proprio quello che accade ai protagonisti di Kindred, l'ultima serie che fa parte di questo filone e che arriva dal 29 marzo su Disney+, dopo essere stata purtroppo cancellata dopo un'unica stagione. La storia dello schiavismo e di cosa significa essere neri in America oggi saranno al centro della nostra recensione di Kindred, in cui proveremo a fare il punto sugli strati di lettura di questo nuovo show e proveremo a capire se meriti ugualmente la visione.
Viaggiare nel passato...
Siamo nel 2016. La protagonista di Kindred, che l'autore teatrale Branden Jacobs-Jenkins ha adattato dal romanzo del 1979 di Octavia E. Butler, è Dana (Mallori Johnson, già vista in WeCrashed), una ragazza 26enne appena trasferitasi a Los Angeles da New York, dove ha venduto la vecchia casa di famiglia in seguito alla morte della nonna, e ora è pronta a ricominciare nel quartiere periferico di Silver Lake. Sulla costa ovest ritrova gli zii, Denise e Alan, che però sono molto perplessi per i cambiamenti drastici fatti dalla ragazza. Quella sera, dopo essere rientrata insieme al cameriere che li ha serviti (un'allegoria interessante vista la tematica generale dello show), Kevin Franklin (Micah Stock, Bonding, The Right Stuff), vive un'esperienza surreale. In una sorta di sogno ad occhi aperti si ritrova nel passato per poi tornare repentinamente nel presente della nuova casa. Nel corso della notte, con i vicini perplessi e preoccupati perché sentono delle urla provenire dalla casa e pensano che Kevin stia facendo del male a Dana, il fenomeno misterioso si ripete finché i due non vengono per davvero catapultati nel passato. Per la precisione in una piantagione del periodo pre-bellico, che ha caratterizzato la storia del Sud degli Stati Uniti dalla fine della guerra del 1812 fino all'inizio della guerra civile americana nel 1861. Un periodo nerissimo della Storia con la S maiuscola, caratterizzato dalla schiavitù promossa in modi indicibili.
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... per salvare il presente
Come già hanno fatto Lovecraft Country e Them prima di lei, anche Kindred racconta questo sfortunato e terribile periodo storico in salsa soprannaturale, nonostante ci ricordi che non c'è bisogno di effetti speciali per raccontare l'orrore umano, poiché fa parte della storia scritta con il sangue e le frustate agli schiavi considerati negri. Perché Dana continua ad essere catapultata in quel periodo dal piccolo Rufus (David Kaplan)? Che rapporto c'è tra lui e la discendenza di Dana? Che ruolo hanno i genitori di Rufus, i terribili proprietari terrieri Thomas (Ryan Kwanten, che torna in tv dopo Summerland, True Blood e proprio Them) e Margaret (Gayle Rankin) in tutta questa faccenda? E agli schiavi della piantagione, capitanati da Luke (Austin Smith) e Sarah (Sophia Brown), quale destino è concesso?
Mentre provano a trovare delle risposte, i due protagonisti devono capire se il loro incontro di una notte sia in realtà qualcosa di più, mentre devono affrontare faccia a faccia la storia americana studiata solamente sui libri, assistendo ad una violazione dei diritti umani senza vergogna. Mentre fanno delle incursioni nel presente, creando sempre più disagio e disordine nel quartiere, Dana e Kevin vogliono capire come riuscire a salvare coloro che hanno incontrato nel passato e soprattutto mantenere la discendenza (e quindi l'esistenza) di Dana. Tanti sono i misteri da svelare, in una trama che si fa forza sui dialoghi, duri e asciutti, sulle interpretazioni, strozzate ed esasperate, e sulla messa in scena, curata rispetto alla ricostruzione storica. Sui colpi di scena, anche se bisogna passare sopra ad una certa sospensione dell'incredulità. L'ambientazione del passato, totalmente all'aperto, fa da contrasto con quella del presente, tutta in location interne, soffocanti e claustrofobiche.
La Casa e la Storia
Gli spiriti affini del titolo si possono trovare nei momenti e nelle persone più disparate e improbabili: è questo che vuole ricordarci la serie, che nella sigla di apertura gioca visivamente con il nome facendolo animare nei modi più diversi. Il topos narrativo della casa torna in questo thriller soprannaturale dalle tinte horror in cui però l'orrore, come dicevamo, è meno esterno e soprannaturale come nei due precedenti seriali citati, mentre Branden Jacobs-Jenkins predilige l'orrore umano e storico: una macchia che non è facile lavare via e anzi andrebbe sempre ricordata per non ripetere gli stessi errori.
È a questo che dovrebbe servire lo studio della Storia, o in questo caso avere l'opportunità di riviverla in prima persona, perché altrimenti finiamo nel ginepraio del Destino che è costretto a ripetersi. Sono convincenti soprattutto le interpretazioni dei due protagonisti, divisi tra due epoche così diverse e allo stesso tempo così tristemente complementari (se pensiamo a quanto accaduto a George Floyd e al movimento Black Lives Matter di oggi). Gli altri personaggi ruotano maggiormente loro attorno, risultando non sempre incisivi, proponendo varie situazioni già viste ma mescolate in modo nuovo, come la tematica dei viaggi nel tempo. Ciò che riesce è la sequela di colpi di scena messa in campo, con cliffhanger finali di episodio volti alla visione da binge watching. Peccato che il finale lasci molte questioni irrisolte, però se volete avere una visione complessiva della storia black portata in tv e avete apprezzato i titoli citati in questa nostra recensione, non perdetevi Kindred.
Conclusioni
Chiudiamo la nostra recensione di Kindred dispiaciuti per la cancellazione ma allo stesso tempo consci che il racconto metta in scena tanti elementi già visti mescolandoli tra loro. Convincenti soprattutto Johnson e Stock e l’idea di raccontare l’orrore umano più che soprannaturale, e la ricostruzione storica puntuale. Paga pegno l’epilogo non conclusivo.
Perché ci piace
- Riportare in tv i viaggi nel tempo e la tematica della schiavitù in modo nuovo.
- Mallori Johnson e Micah Stock sono i più riusciti del cast, ma anche Ryan Kwanten dopo Them.
- I cliffhanger sono costruiti ad arte.
Cosa non va
- Alcune interpretazioni sono un po’ esasperate.
- Alcune storyline sono già viste e meno convincenti.
- Il finale è aperto.