A inaugurare la 15° edizione del Florence Korea Film Fest, realtà unica nel panorama nazionale costellato di festival di ogni tipo, è il sontuoso The Age of Shadows. Il mago dei generi Kim Ji-woon diventa politico e ambienta il suo spy thriller nell'epoca più cupa della storia coreana, quella dell'occupazione giapponese. Gli eventi storici, nel film, vengono trasfigurati attraverso la maestria tecnica di Kim Ji-Woon e la sua perfetta gestione del racconto là dove si intrecciano le vicende di un poliziotto coreano al soldo dei giapponesi e di un gruppo di ribelli che lottano per l'indipendenza. Di fronte alla curiosità su una possibile reazione del pubblico nordcoreano alla visione, Kim Ji-Woon risponde: "Se il film venisse visto in Corea del Nord piacerebbe molto al pubblico perché è ambientato prima della separazione, in un'epoca in cui tutti i coreani combattevano contro un nemico comune che è il Giappone".
Dopo aver incantato il pubblico della Mostra di Venezia, dove è stato presentato Fuori Concorso, The Age of Shadows avrà la sua première a Firenze, dove Kim Ji-Woon era già stato ospite qualche anno fa. Il tempo non lo ha cambiato. Lo ritroviamo con lo stesso look informale, in jeans e scarpe da ginnastica, con l'immancabile berretto da baseball in testa. "Volevo raccontare un momento tragico della storia coreana con cui la mia gente fa fatica ad approcciarsi" prosegue il regista. "Ci sono ancora molti coreani vicini ideologicamente al Giappone, ma io fin da quando ero piccolo mi sentivo vicino ai movimenti di liberazione. Quello mostrato nel film era il più violento, il Giappone lo temeva. Volevo rendere giustizia alla lotta di questi uomini per l'indipendenza".
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Veloce come il treno dei ribelli
Dopo l'esperienza americana con The Last Stand - L'ultima sfida, dove ha diretto il divo Arnold Schwarzenegger, Kim Ji-Woon ha guadagnato numerosi crediti a livello internazionale tanto da convincere Warner Bros a finanziare The Age of Shadows, prima sortita nel mercato coreano dello studio. L'ingerenza americana non ha pesato sul lavoro del regista che aveva la fiducia completa della compagnia e gli imponenti mezzi gli hanno permesso di girare sequenze spettacolari come il lungo viaggio in treno, saggio di suspence che si situa nel cuore del lungometraggio. "Il viaggio in treno dei ribelli da Shanghai a Seoul per trasportare l'esplosivo è un fatto storico. Io ho scelto di ambientare una lunga sequenza in treno per ricreare un microcosmo dell'epoca, mostrando gli schieramenti opposti di ribelli e polizia. La suspence nasce dai rapporti che si instaurano tra i vari personaggi, riuniti tutti insieme sul treno. Costruire il set è stato molto complesso. Abbiamo ricreato un treno, perciò avevamo problemi di illuminazione e lo spazio era ridotto. Abbiamo dovuto costruire i binari della macchina da presa in modo che entrassero nel corridoio. Per creare l'illusione del movimento abbiamo posto sotto il treno dei congegni, mentre sopra era mosso da persone poste sul tetto. All'inizio delle riprese uno di loro era molto agitato, ma alla fine si è rilassato e mentre si muoveva controllava il cellulare".
Sarà questa passione per il cinema di genere o sarà la propensione per grandi scene dinamiche e spettacolari a spingere la critica a definire Kim Ji-Woon il più occidentale tra i registi coreani.
Il regista motiva questa definizione con la sua passione per il genere e le sue convenzioni. "Il genere è un linguaggio più semplice da capire. Anche Park Chan-Wook, che è un mio grande amico, è un regista internazionale, condividiamo gli stessi gusti. I miei film preferiti sono classici occidentali, questo è il motivo per cui il mio cinema risulta più leggibile".
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Un coreano alla conquista dell'America
Ripensando all'esperienza americana con The Last Stand, Kim Ji-Woon confessa: "All'inizio delle riprese volevo morire. Ho pensato "Ecco, questa è la fine". I sistemi sono troppo diversi. L'industria coreana ha una struttura verticale, a capo di tutto c'è il regista e gli altri sono alle sue dipendenze. L'industria americana, invece, è orizzontale, perciò a decidere sono regista, produttore e attori. Per fare un film occorre l'appoggio di tutti quanti ed è difficile mettere tutti d'accordo. Io e Park Chan-Wook eravamo in America nello stesso periodo. Abbiamo vissuto le stesse difficoltà così quando siamo tornati in Corea ci siamo abbracciati e abbiamo tirato un sospiro di sollievo". Nonostante le difficoltà, la maestria di Kim Ji-Woon ha convinto Arnold Schwarzenegger a tornare al cinema. "Arnold è una persona molto intelligente. Non essendo americano, mi ha trattato bene". Più complicato il rapporto con le star americane: "Sono attori molto preparati, ma sono anche pieni di sé. Si sentono star e te lo fanno pesare".
Il prefinale di The Last Stand ambientato su un ponte sospeso tra Stati uniti e Messico è un esplicito omaggio al western. Nel 2008 Kim Ji-Woon aveva firmato il suo personale spaghetti western coreano con Il buono il matto il cattivo. Il legame con l'Italia si esplicita nell'amore per il cinema di Sergio Leone di cui Kim non fa mistero: "Più che il western americano, io amo il cinema di Sergio Leone. Il suo modo di girare è illuminante, il suo cinema è violento ed elegante. Ha uno stile estremo e ricco di silenzi. Se in passato sono stato influenzato da Sergio Leone, però, per The Age of Shadow il mio modello è Bernardo Bertolucci e i suoi thriller politici."
Dopo aver esplorato generi come il thriller, il noir, l'horror, il western e il crime movie, Kim Ji-Woon si prepara a dirigere l'adattamento live action di un anime giapponese, Jin-Roh, che verrà girato in estate. Il regista, però, spiega che gli mancano ancora all'appello fantascienza e romcom. Di fronte all'ipotesi di girare in Italia in un prossimo futuro sorride: "Perché no? Mi piacerebbe girare uno spy thriller nelle vostre belle piazze".