Keshavarz e Azadi presentano a Roma Dog Sweat

Dopo la proiezione al Festival di Roma dell'interessante e problematico Dog Sweat, il regista e la produttrice hanno parlato della genesi del film e dei suoi legami con la società iraniana.

Un discreto numero di giornalisti ha accolto il regista Hossein Keshavarz e la produttrice Maryam Azadi che hanno presentato al Festival di Roma il loro Dog Sweat, pellicola che con taglio semidocumentaristico e un occhio al miglior cinema americano, racconta la società iraniana odierna e le sue contraddizioni.

Potete dirci qualcosa sulla genesi del film e sulla sua lavorazione Hossein Keshavarz: La lavorazione è stata molto impegnativa, anche perché volevamo differenziarci dai classici film iraniani che raccontano le vite di villaggi sperduti o di bambini in tenera età. Quella iraniana è una società urbanizzata, dove gran parte della popolazione è giovane, e soprattutto è una società che ha molta energia. Abbiamo girato il film senza passare sotto le maglie della censura, praticamente di nascosto dalle autorità, e questo ha prodotto sul set una situazione di caos e di incertezza continua. Comunque, ci tengo a specificare che non è un film politico, ma soprattutto un film umano.
Maryam Azadi: I film con i giovani vengono fatti, in Iran, ma spesso vengono bloccati dalla censura. Noi volevamo fare qualcosa di realmente diverso, mostrare cosa accade, la vita vera, specie quella dei giovani. E' stato molto difficile, siamo stati costretti a girare molto velocemente, spesso senza permessi.

Nel film si vede l'energia dei giovani, ma anche una specie di presenza ingombrante che li blocca dall'alto. Secondo voi come potrebbe uscire la società iraniana da questa situazione? Hossein Keshavarz: Negli ultimi anni c'è stato un dialogo molto intenso, su questi argomenti, e già questo può aiutare. Comunque non deve passare l'idea che i giovani iraniani si lamentino continuamente, anzi: come in ogni altro paese, anche da noi i giovani si vedono, si incontrano e si innamorano. Più in generale, anche se il nostro paese viene visto spesso come esotico, da noi la gente si sveglia la mattina, va a lavorare e cerca di vivere normalmente, nonostante le difficoltà che ci sono, come in ogni altra parte del mondo.
Maryam Azadi: anche la diffusione della Rete ci ha aiutati a vivere diversamente, anche da noi ormai i giovani sono connessi a Internet, e sono informati su ciò che accade nel resto del mondo. La nostra è una società in movimento, e i media possono essere uno strumento attraverso il quale questo cambiamento vada avanti.

Cosa succede quando un film girato clandestinamente viene presentato nei festival internazionali? Rischiate qualcosa, voi, nel tornare nel vostro paese?

Hossein Keshavarz: Innanzitutto non abbiamo voluto esagerare con la connotazione politica del film, come ho detto lo consideriamo un film più umano che politico. Abbiamo cercato di dare spazio a tutti i punti di vista, nel film si vede anche una madre che si reca in Iraq a pregare, elemento che in occidente verrebbe considerato come integralista. Non so dire se rischiamo qualcosa, noi attualmente viviamo negli Stati Uniti, ma speriamo di poter fare ritorno nel nostro paese senza problemi: già in passato altri registi hanno girato film in clandestinità e le autorità hanno poi accettato il fatto compiuto, certo non ne saranno felici ma speriamo non ci succeda niente. Il film comunque, per ora, non avrà una vera e propria distribuzione, né in Iran né nel resto del mondo.
Maryam Azadi: comunque va detto che sono stati moltissimi, in passato, i film che non sono passati sotto le maglie della censura, e il governo non ha un modo standard per trattare questi casi. Ognuno viene giudicato a sé, non c'è una regola: il nostro auspicio è di non aver problemi, comunque.

Quanto è stato importante includere elementi comici, o comunque divertenti, nel film? Hossein Keshavarz: Era importante non focalizzare il film solo sulla politica o dargli un taglio solo drammatico: è certo anche un film divertente, e ha un finale in cui c'è anche della speranza. Volevamo mostrare che vivere in Iran è divertente, la gente ha una grande forza vitale, tra i cittadini del nostro paese c'è solidarietà e cameratismo.
Maryam Azadi: La vita ha anche un aspetto divertente, e questo è vero in Iran come altrove. Non tutto è negativo, e va detto che nel nostro paese, per i giovani divertirsi è ancora più importante che altrove.

I personaggi sono calati in un contesto urbano, o comunque medio borghese. Come mai non vediamo la vita del proletariato, degli strati sociali più disagiati? Hossein Keshavarz: In effetti quello che abbiamo ritratto è il ceto sociale più rappresentativo, tra la popolazione iraniana, nel nostro paese la maggior parte della gente vive così. Alcuni personaggi comunque hanno un background più problematico, che volevamo includere nel film, ma per le precarie condizioni in cui abbiamo lavorato non è stato possibile includere tutto il girato nel prodotto finale.
Maryam Azadi: In realtà, nel cinema iraniano, è proprio la media borghesia urbana, quella che noi abbiamo mostrato, a venir più spesso trascurata. Ed è certo la classe sociale più presente nel tessuto sociale iraniano: vedendo la maggior parte dei film iraniani, invece, lo spettatore potrebbe pensare che da noi la maggior parte della gente è povera. Non è affatto così.

Saranno i giovani la spinta propulsiva per il cambiamento, nel paese?

Hossein Keshavarz: da noi le cose cambiano in continuazione, anche se magari questo non risulta dai media. Anni fa, per esempio, non era neanche possibile che i giovani si incontrassero e si radunassero per strada, mentre oggi succede tranquillamente.
Maryam Azadi: Mi sento spesso chiedere se l'Iran è "pronto" al cambiamento, e non capisco mai cosa ciò voglia dire. Di tentativi se ne fanno in continuazione, e i cambiamenti pian piano si vedono, non solo sul piano politico, ma soprattutto su quello culturale.

Anni fa, ai tempi di Ten, Abbas Kiarostami dichiarò che "non esiste in Iran nessuna discriminazione nei confronti delle donne". Cosa ne pensate? Hossein Keshavarz: Il discorso è complesso, ma certo l'Iran è in una situazione diversa rispetto ad altri paesi del Medio Oriente. Da noi le donne hanno più potere che altrove, sono molto più istruite, visto che la maggior parte degli iscritti all'università è di sesso femminile, ed occupano più posti in parlamento di quanto ne occupino negli Stati Uniti. Certo, delle leggi discriminatorie ci sono, ma la società iraniana complessivamente consente alla donna di emanciparsi. La forza della tradizione, comunque, è molto forte, e spesso si scontra con le spinte emancipative che provengono dall'occidente.

Come si svolge il casting, per questo tipo di film?

Hossein Keshavarz: Avendo girato in clandestinità, non potevamo fare un casting di tipo classico, quindi ci siamo guardati intorno e abbiamo iniziato a cercare persone che potessero essere interessate, che soprattutto avessero l'energia che serviva per fare il film. Certo, ci siamo dovuti scontrare con delle difficoltà oggettive, per esempio una ragazza partecipava al film di nascosto dal padre, e quando è stata scoperta siamo stati costretti a cambiare completamente il finale, per adeguarci alla situazione che si era creata. Eravamo sempre in tensione, sul set si respirava quest'aria di precarietà continua.

Ci sono delle scene che sono state girate ma non sono state poi incluse nel film? Hossein Keshavarz: Purtroppo sì, a causa delle precarie condizioni in cui abbiamo dovuto lavorare. Quando, per un qualche impedimento, una sequenza veniva iniziata e non finita, siamo stati costretti a buttare tutto. Sono cause di forza maggiore, forse comunque questi frammenti di girato finiranno negli extra di un eventuale DVD.

Si può forse vedere un parallelo tra il vostro film e i film americani degli anni '50, che raccontavano appunto la ribellione giovanile, i cambiamenti del costume nella società americana. C'è qualcuno di questi film che vi ha influenzato? Hossein Keshavarz: Certo, quei film sono stati oggetti di discussione tra di noi, ma la maggior fonte di ispirazione è stata la vita delle persone, molte delle quali hanno storie anche più complesse di quelle che si vedono nel film.
Maryam Azadi: Io sono una grande fan dei film americani degli anni '50, così come di tutti quelli che rispecchiano la vita reale delle persone. Un'altra fonte di influenza è stato un film iraniano di circa 35 anni fa intitolato Beta, che presenta un finale molto simile al nostro film.