Daniel Blake (Dave Johns), 59 anni, falegname di Newcastle, si ammala, ha una grave cardiopatia e non può lavorare, per questo chiede un sussidio statale, ma l'impresa si rivela gargantuesca: privo di computer, l'uomo ha difficoltà anche solo a compilare la domanda, per poi scoprire che, per rientrare negli standard, deve comunque dimostrare di stare cercando lavoro, anche se non può praticarlo a causa della sua salute. Al dramma di Daniel si aggiunge quello di Katie (Hayley Squires), madre single di due bambini, senza lavoro e costretta ad arrangiarsi per sopravvivere.
Vincitore della Palma d'oro al 69esimo Festival di Cannes, e candidato a 7 British Independent Film Awards 2016, Io, Daniel Blake è il nuovo grido di rabbia di Ken Loach, che a 80 anni, continua la sua lotta alla denuncia delle ingiustizie sociali. "Se accetti l'inaccettabile senza arrabbiarti, se autorizzi lo Stato a toglierti la dignità e non protesti, allora c'è qualcosa che non va in te", ci ha detto il regista a Roma, in occasione del tour promozionale del film, nelle sale italiane dal 21 ottobre. Per il regista la dignità è tutto, e i suoi protagonisti, Daniel e Katie, ne hanno in gran quantità, anche se il mondo intorno a loro fa di tutto per togliergliela: "Bisogna arrabbiarsi, è l'unico modo per arrivare a un cambiamento sociale. L'importante è indirizzare la rabbia verso il giusto obbiettivo: non bisogna prendersela con persone ancora più svantaggiate e che hanno ancora meno, come gli immigrati, ma con chi trae vantaggio dal sistema. Inoltre, perché il cambiamento avvenga davvero, è necessario un progetto politico".
Accusato da alcuni, anche dopo il premio a Cannes, di fare sempre lo stesso film parlando degli stessi temi ancora e ancora, abbiamo chiesto a Loach come risponde ai critici che hanno bollato così il suo film: "Chi dice questo confonde lo stile con il contenuto: uno passa anni a pensare alla giusta storia, a immaginare i drammi interiori dei personaggi, e poi i critici non fanno caso al contenuto del film. È un problema diffuso nella categoria: se non riescono a distinguere la forma dai temi è meglio che tornino a studiare".
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Infine abbiamo chiesto al regista qual è il suo rapporto con la tecnologia, visto che Daniel, il suo protagonista, non sa nemmeno accendere un computer: "Riesco a mandare mail e a controllare i risultati delle partite di calcio sul cellulare, ma mi fermo lì. Appartengo alla generazione sbagliata. Anche se non so bene come funzionino i nuovi media, vedo che sono uno strumento ormai necessario: molta dell'organizzazione politica e del sostegno degli elettori si costruisce lì".