Sì, la foresta tropicale. Sì, l'omaggio. Sì, la fotografia a grana grossa di John Mathieson, che riprende i colori dei nostri amati anni Novanta. E sì, il rispetto di Gareth Edwards nei confronti di un marchio cinematografico che suggerisce immediatamente il senso puro del cinema. Mica come Colin Trevorow e Juan Antonio Bayona, capaci di distruggere (letteralmente) l'immaginario giurassico nato con Michael Crichton e cresciuto con Steven Spielberg. Ecco, a proposito di questo: non date retta alle recensioni americane - citiamo l'imbarazzante review di IndieWire, che suggerisce addirittura di "uccidere di nuovo i dinosauri" - e, spassionato consiglio, tornate ad alzare gli occhi al cielo, scrutando l'impossibile che diventa realtà. Si intende, realtà cinematografica.

Ecco, Jurassic World - La rinascita sembra quasi scusarsi del pasticcio fatto con i precedenti tre film, facendo da ponte tra i vecchi e i nuovi spettatori. Ma attenzione: non un'operazione fine a sé stessa, né un copia-e-incolla del capolavoro datato 1993. Bensì, come suggerisce il titolo, una sorta di rinascita. Nel segno dell'avventura vecchio stile. Nulla di più, nulla di meno. E se "la vita trova sempre una strada", diceva Ian Malcolm alias Jeff Goldblum, allora Gareth Edwards prova a rimettere a posto le cose, chiedendo quasi scusa per la precedente trilogia di Jurassic World.
Torniamo a credere ai dinosauri

Come? Spronandoci, svegliandoci, cercando un modo per enfatizzare l'immaginazione, riportandola al centro della storia. Perché sì, i dinosauri in Jurassic World: La rinascita ci sono (alcuni grandi ritorni, altri nuovi, e diciamolo, un po' bruttini come il Distortus rex), ma la vera protagonista è la disillusione. Specchio di un mondo annoiato, impigrito, sonnolento. Un mondo incapace di aprire lo sguardo, di cercare l'abbaglio.

Il film inizia infatti cinque anni dopo gli eventi di Jurassic World: Il dominio. I dinosauri si sono dimostrati inadatti agli ambienti civilizzati (ma guarda un po'!) e, nell'indifferenza generale, arrancano tra le strade cittadine. Molti, però, hanno migrato, spostandosi nelle zone tropicali, isolate e inaccessibili. Prosperando in veri e propri ghetti. Un gruppo che ce l'ha fatta, un gruppo ribelle, quasi anti-capitalista. Il punto, però, è che a nessun frega più niente della dino-mania. Come è possibile? Semplice: il mondo vive con lo sguardò all'ingiù.
Il fattore David Koepp: ritorno alle origini

Una sorta di dichiarazione d'intenti da parte dello sceneggiatore David Koepp, lo stesso autore che aveva firmato Jurassic Park. Koepp ci dice sostanzialmente che i dinosauri non sono adatti al nostro habitat perché l'essere umano è diventato respingente verso i sogni. In un'intervista, l'autore ha detto: "Voglio rendere i dinosauri di nuovo speciali [...]. Volevo che tornassimo nel loro ambiente invece che loro nel nostro". È chiaro infatti che i dinosauri, nel contesto della saga, rappresentano la massima metafora dell'immaginazione, resa tangibile da un anziano visionario che, a guardar bene, è anche un implicito villain (John Hammond giocava a fare Dio, altro che simpatico nonnetto).

Tra l'altro, uno dei protagonisti de La rinascita, il dottor Henry Loomis (interpretato da Jonathan Bailey), è disperato perché il museo dove lavora è costretto a chiudere. Non stacca più un biglietto. Le persone ne hanno abbastanza di "quei cosi", come dice la piccola naufraga Isabella (Audrina Miranda), che viene recuperata in mezzo al mare dal team (Scarlett Johansson, Mahershala Ali, il cattivo Rupert Friend, oltre allo stesso Bailey) impegnato in una missione impossibile finanziata da una big pharm: recuperare un siero miracoloso da tre enormi dinosauri (sì, questa è la trama). Quindi, nemmeno più i bambini, nativi giurassici, restano impressionati davanti un brachiosauro. Anzi.
E se i dinosauri geneticamente modificati fossero i reboot cinematografici?
Altro parallelo che acchiappiamo: i biglietti invenduti dal museo sembrano gli stessi biglietti invenduti delle sale cinematografiche. Un discorso soffuso, e sicuramente meta-cinematografico, da cogliere. In fondo, attorno a noi molti non credono più alla sala cinematografica. Tuttavia, il parallelo è coerente al discorso relativo anche ai "nuovi" dinosauri in cui si imbatte la squadra: animali creati in laboratorio, incroci, copie delle copie. Un mix. A legger bene, gli ibridi che troviamo in Jurassic World - La rinascita sembrano una metafora dei reboot che hanno invaso il cinema. Sì, compresa la saga giurassica, arrivata al settimo capitolo.

Alla fine del film, come schema narrativo vuole, Isabella, dopo ave vissuto l'avventura più incredibile della sua vita, tornerà a sognare e, forse, il pubblico tornerà a sognare insieme a lei. Una sorta di epifania, la sua, che si lega all'effige di Jurassic Park/Jurassic World, essendo - da sempre - un brand iniziatico per i nuovi spettatori, tramandando loro il concetto di fantasia. E facendoci stupire, di nuovo, di quei dinosauri che continuano a "muoversi in branchi".