Con Clouds of Sils Maria, Olivier Assayas ha regalato a Juliette Binoche uno dei ruoli più belli della sua carriera. L'attrice risplende sullo sfondo delle montagne di Sils Maria in una sorta di moderno Eva contro Eva che la mette a confronto con Kristen Stewart e Chloe Moretz, rappresentanti della nuova generazione di starlette americane. Confronto che la Binoche supera brillantemente in una gara di bravura al femminile in cui dà vita a Maria Enders, attrice che torna a confrontarsi con i demoni del debutto tornando a mettere in scena la piece che la rese celebre, ma stavolta nel ruolo dell'attrice matura e non della giovinetta seducente.
Riguardo al ruolo cucitole addosso da Assayas l'attrice spiega: "E' la vita che mi aiuta a preparare un ruolo come quello di Maria. Facendo l'attrice so perfettamente cosa si prova e ho cercato di forzare il personaggio per mostrarne i limiti. Ciò che mi ha colpito della sceneggiatura di Olivier è che mostra quanto sia difficile recitare, quanta fatica costi entrare in un personaggio. Per me una delle scene centrali del film è quella alla fine, con il personaggio di Chloe Moretz che umilia il mio. Ciò, però, le permette di far fronte alla propria paura visto che a quel punto non può fare altro che cambiare e adeguarsi alla nuova situazione". Riguardo all'incredibile confronto con Kristen Stewart, che nel film interpreta l'assistente di Maria, la Binoche aggiunge: "Olivier non si immaginava che avremmo recitato le scene delle prove della pièce in un modo così intenso. Di solito provo da sola, nella mia stanza, ma stavolta con Kristen abbiamo superato i nostri limiti per creare un effetto sorpresa. E in effetti Olivier è stato il primo a essere sorpreso. Credo che creare due livelli di narrazione, per questo film, fosse essenziale e infatti alla fine siamo riusciti a dar vita a un vero thriller dei sentimenti".
Un'interprete senza compromessi
Un percorso, quello di Juliette, che ha molti punti in comune con quello di Maria Enders. "Come Maria anche io sono nata in teatro e poi sono approdata al cinema. Il teatro è in presa diretta, il cinema è mediato dal digitale; in teatro i silenzi sono decisi dall'attore mentre al cinema sono decisi dal regista. L'attore può gestire tempo e ritmo. Noi attori siamo come medici dell'animo, siamo importanti perché catalizziamo la possibilità delle persone di conoscersi a fondo".
Riguardo al suo rapporto con i registi, la Binoche aggiunge: "I registi più giovani tendono a voler dirigere un attore, ad anticiparlo e a controllarne ogni mossa. Invece Olivier Assayas ha imparato dai registi asiatici la libertà taoista, la capacità di dare spazio all'attore e alla vita. Quando si vuole limitare tutto questo, si perdono molte cose. Io sono molto adattabile. Solitamente mi adeguo in funzione del regista. Per esempio, Kieślowski era solito girare un solo ciak, se c'era un problema e io chiedevo di fare un secondo ciak lui mi chiedeva sempre il perché.
Di solito sono abbastanza forte e riesco a passare attraverso progetti difficili indenne. Però mi viene in mente l'ultimo film che ho fatto, Nobody Wants the Night, della catalana Isabel Coixet. Alla fine delle riprese ero sconvolta perché il mio personaggio viene abbandonato nell'estremo nord, prova fame, freddo, sofferenze inaudite. E' come aver toccato il fondo del sentimento di abbandono. Mi succede raramente perché sono abbastanza forte, lì forse non ero pronta, ma sono sopravvissuta e infatti mi sono subito gettata in un nuovo progetto. Ma sia chiaro che nella recitazione non ci sono compromessi, bisogna dare tutto se stesso perché non si può essere attore al 50%."
Il presente è la Sicilia
Quando le viene chiesto quali sono i suoi modelli, la Binoche nomina tre attrici fondamentali per il cinema mondiale. "Da giovanissima non avevo modelli perché volevo fare teatro e il cinema l'ho scoperto solo in un secondo momento, mentre vivevo con Leos Carax. Le tre attrici più importanti per me sono Liv Ullmann, Gena Rowlands e Anna Magnani".
C'è anche spazio per il ricordo di uno dei film chiave della carrera di Juliette Binoche, L'insostenibile leggerezza dell'essere. Cosa è rimasto di quell'esperienza? "E' rimasto il libro di Kundera, che leggevo la mattina mentre mi preparavo per le riprese, è rimasta la tenerezza per Daniel Day-Lewis. Ricordo che allora c'era ancora il muro, quindi mi sono preparata in fretta sul posto quando sono arrivata ad appena una settimana dal primo ciak. Ricordo la musica, Philip Kaufman, che era sempre d'accordo se io chiedevo di ripetere il ciak, e Vera Kundera, che è venuta alla prima proiezione e mi è saltata al collo dicendo che il personaggio del romanzo ero proprio io".
Con una straordinaria carriera di interprete in corso, per Juliette le sfide non sono mai troppe e la noia sembra essere la sua peggior nemica tanto da averla spinta, all'età di 43 anni, a dedicarsi alla danza e a creare addirittura uno spettacolo. "Ho iniziato a fare danza a 43 anni, mi affascinava l'idea di collegare le emozioni col movimento. Ho cocreato lo spettacolo in cui mi esibivo, all'inizio non avevo i muscoli quindi mi sono resa consapevole del mio fisico poco alla volta. Nella vita bisogna essere curiosi, aver voglia di fare cose nuove, ma non c'è differenza tra le arti. Per me è tutto sullo stesso piano, dipingere, danzare, recitare. Si tratta sempre di un movimento dall'interno all'esterno, di comunicare. Il colore è un'emozione e anche il movimento è un'emozione". A tratti Juliette fa fatica a trovare le parole giuste in francese, si scusa e spiega: "In questo momento sto recitando in italiano e stiamo girando di notte in Sicilia. Il film si intitola L'attesa, è diretto da Piero Messina ed è un'opera davvero originale, ma per adesso non posso dire di più".