"Sono Judy Garland per un'ora ogni sera", dirà in una delle battute del film l'ex baby star di Hollywood ormai sul viale del tramonto, inghiottita dallo stesso sistema che l'aveva fatta diventare un'icona, la bambina d'America alla quale bastava sbattere i tacchi delle sue scarpette rosse per tornare a casa. Ma una casa la protagonista di Judy, bioipic di Rupert Goold sull'ultimo periodo della vita della celebre attrice, non ce l'ha, quando la incontriamo in una delle prime scene del film costretta esibirsi in un piccolo teatro di Los Angeles con i suoi figli, Lorna e Joey, per guadagnare qualche centinaio di dollari. Trent'anni dopo quel Mago di Oz, che aveva segnato l'inizio di una carriera sfolgorante, Judy è segnata dai debiti, consumata dall'alcolismo e da una vita sentimentale tormentata, la voce non è più quella di una volta, non ha una casa e per non perdere la custodia dei propri figli è costretta a fare i bagagli e trasferirsi a Londra, dove il pubblico la ama ancora.
La proposta di esibirsi in una serie di spettacoli per un periodo di cinque settimane al 'The Talk of the Town' della capitale inglese, rappresentano per lei l'unica possibilità di rimettersi in piedi. "L'idea strutturale era quella di concentrarsi sulla fine della vita di Judy - racconta il regista durante presentazione alla Festa del Cinema di Roma - È lontana da casa, sta cercando di lottare per i suoi figli e si ritrova circondata da estranei in paese altrettanto estraneo. Mi interessava creare un parallelismo con la sua vita da bambina: non ha avuto un'infanzia, è stata la bambina di tutti ma non lo è mai stata per se stessa".
Judy Garland, oltre l'arcobaleno: ricordando la star de Il mago di Oz
Un biopic sulla solitudine dell'artista e l'infanzia perduta
Judy prende la mosse proprio da qui, dalla dimensione umana e dalla infinità fragilità di un'artista ritratta nell'ultimo faticoso tratto di carriera, qualche tempo prima di morire per un'overdose di barbiturici a 47 anni. Al presente si alternano sullo schermo i flashback che ce la mostrano agli esordi, ancora bambina e sul set de Il mago di Oz: "Mi affascina l'idea della parte finale della carriera di un'artista: se pensiamo a Johnny Cash, Leonard Cohen o Johnny Mitchell, vediamo come i musicisti che stanno perdendo i loro strumenti trovino dei nuovi modi di esprimersi attraverso l'anima, il fraseggio, la tecnica", dice Rupert Goold.
Sui set che ne fecero la ragazzina cantante e piena di gioia, Judy Garland perse la propria infanzia: "È il prezzo celebrità, Judy Garland e Shirley Temple sono state le prime bambine per le quali il riconoscimento globale incise su tutta la loro vita. Oggi il sistema protegge molto di più i bambini, Judy invece era come un canarino in miniatura, un esperimento. Non mi interessava raccontare la diva che vive sempre nel mondo della performance, ma la donna, la madre che lotta per assicurare una vita serena ai suoi bambini", aggiunge Goold.
Era come se fosse nata negli Studios: "Aveva vissuto un'intera vita in un Truman Show, per questo abbiamo girato le scene di lei bambina negli studi, mi piaceva ricreare l'idea che fosse circondata da un mondo artificiale". A rimanere fuori dal film (di cui abbiamo parlato nella nostra recensione di Judy) è invece il rapporto dell'attrice con sua madre, una relazione controversa: "Era gelosa del suo successo, aveva tre figlie e lei era la più piccola e la più celebrata, aveva quattro o cinque anni, ma credo che sua madre soffrisse la sua celebrità", rivela.
Su quanto ci sia di reale e di finzione nel film invece, spiega che la maggior parte della storia è vera, anche quella del pubblico che nella serata finale al The Talk of the Town canta per lei: "Londra l'ha sempre accolta e abbracciata, i suoi concerti all'inizio furono un trionfo poi la situazione precipitò, al punto che il pubblico si chiedeva ogni sera se avrebbe visto un'esibizione degna o un collasso". È inventata invece la scena in cui la Garland accetta un invito a cena con due suoi fan, forse l'unico momento in cui ritroverà un senso di casa. Sul suo periodo londinese molto arriva dai racconti di Rosalyn Wilder, la sua assistente: "Ha parlato molto con lo sceneggiatore e ci ha fornito molti dettagli preziosi, di come fosse l'hotel in cui alloggiava, del momento in cui usciva dall'albergo, del caos della sua vita e di come il suo rapporto con Judy fosse diventata poi un'amicizia profonda".
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Renée Zellweger e la trasformazione in Judy Garland. Prova da Oscar?
A interpretarla ci pensa Renée Zellweger, in una performance da Oscar in cui la trasformazione fisica è stata solo il punto di partenza: "Siamo partiti dall'esterno per arrivare all'interno: i denti, il naso, i capelli, il trucco. Più aggiungevamo e più Renée spariva sotto quella maschera, fino a quando non è arrivato per lei il momento di emergere: volevo vedere la Judy di Renée, non la mia - continua Goold - Una delle cose più straordinarie era come teneva le spalle, la Garland aveva un problema alla spina dorsale che la faceva sembrare più vecchia dell'età che aveva, Louis B. Mayer,capo della MGM, la chiamava 'la gobbetta'. Quando iniziavamo a girare lei abbassava le spalle e iniziava a recitare". La Zellweger canta tutte le canzoni dal vivo, tranne qualcuna che è stata preregistrata: "Era importante ottenere un effetto di verità, quando abbiamo registrato la prima canzone, la nostra 'scena d'azione', la più lunga, Renée non lo sapeva. Le ho semplicemente detto: 'Non canterai mai come Judy Garland, non devi essere perfetta, stiamo solo girando un film, quello che conta è che canti con il cuore e che ci metti il tuo spirito'".
La scelta della Zellweger? Non poteva essere diversa, il film aveva bisogno un'attrice capace di cantare e che avesse un'immediatezza emotiva: "Vedevo tra Renée e la Garland una simmetria, anche lei come Judy era stata percepita come una sorellina e mi interessava il suo percorso all'interno della fama. Si era allontanata dal cinema per sei anni perché aveva sentito l'intensità con cui Hollywood ti risucchia l'anima; nessuno meglio di lei poteva raccontare quell'aspetto della celebrità, oltre a essere l'unica capace di cogliere la forza e nello stesso tempo la leggerezza di Judy Garland, il suo essere farfalla". Ma quello che interessava al regista era soprattutto un'attrice in grado di trovare "la solitudine di Judy, persa tra filosofia, sogno e depressione".