Recensione Mad Detective (2007)

Le sequenze popolate da più personaggi, la descrizione della fragilità di alcuni e la spietata ambizione di altri permettono ai due registi di intraprendere nuovi sentieri del linguaggio filmico.

Johnny To e il suo doppio

Parla di demoni il nuovo film di Johnny To e del fido compare Wai Ka-fai, ma non si tratta di quelli "sotto la pelle" di cronenberghiana memoria, ne di quelli che popolano il cinema horror (anche se in alcuni passaggi il protagonista di questo film rievoca quello del Retribution di Kiyoshi Kurosawa). I demoni di Shentan (Mad Detective), quarto film a sorpresa della gestione Muller alla Mostra del Cinema di Venezia, sono quelli dell'io che abitano la personalità di ogni individuo e che l'ispettore Bun, il detective stregone, è in grado di vedere, e grazie a questo dono riuscire a risolvere qualsiasi caso gli venga affidato. A partire delle indagini sulla sparizione di un agente si dipana questo insolito noir che ha come fuoco geometrico dello sviluppo narrativo la sparizione, lo scambio o il furto delle pistole dei diversi agenti protagonisti.

Parlando di poliziotti derubati della propria arma d'ordinanza e del caos che può scatenare un tale avvenimento non si può evitare di chiamare in causa quel capolavoro che fu PTU. Ma proprio ripensando ai passati splendori dell'opera di To si fanno evidenti tutti i pregi e i difetti, le novità e le incertezze di questo nuovo lavoro. Lo scoccare del primo decennio Milkyway è stato caratterizzato da una rinnovata fecondità produttiva (con il progetto Election, trittico ancora orfano del terzo capitolo sulle Triadi cinesi, e il magnifico Exiled), e quest'anno con l'atipico Mad Detective. E' evidente già dopo pochi minuti di pellicola infatti, e l'hanno a più riprese confermato i due registi, che questo film rappresenta la volontà di esplorare nuove strade, di distaccarsi dalle etichette e smentire chi in Johnny To vede un regista incapace di cimentarsi in generi diversi dal convenzionale poliziesco. E l'intento per buona parte si avvera, pur non senza qualche insicurezza, con un action dalle venature thriller di ottima fattura e certamente mai privo delle doti di coinvolgimento richieste al cinema di genere.

Riflettono sulla natura delle persone To e Wai, sull'immagine sdoppiata e l'io moltiplicato, sfruttano la malattia mentale come nuovo mezzo drammatico al fine di descrivere più attentamente le psicologie dei personaggi, ed in questa direzione non può che guadagnarci la loro filmografia tanto più che attraverso questa nuova ricerca le soluzioni estetiche non possono che arricchirsi in positivo. Le sequenze popolate da più personaggi, la descrizione della fragilità di alcuni e la spietata ambizione di altri permettono ai due registi di intraprendere nuovi sentieri del linguaggio filmico. Domina un'atmosfera surreale e nuova in questo film, tra i sempre perfetti inseguimenti notturni nei vicoli dell'ex colonia inglese e la caratterizzazione di demoni e personaggi, fino ad uno straordinario duello finale tra gli specchi di un magazzino che moltiplicano e frammentano le aree di visione, fino all'agghiacciante epilogo. In questo senso, qualche imperfezione della sceneggiatura (più facilmente attribuibile ai meccanismi del genere che alle doti di To e socio, non deve però ricoverare questo lavoro tra le banalità e le troppe realizzazioni dimenticabili del cinema made in Hong Kong, soprattutto se considerata la sua odierna condizione zombesca. Non il miglior To quindi, ma un esperimento interessante che conferma le doti di un regista in grado di evolversi e proseguire il proprio discorso artistico, che non è cosa da tutti.