Presentato nella sezione Extra -Altro Cinema del quinto Festival internazionale del film di Roma, in anteprima mondiale e in contemporanea con l'Inghilterra, l'ultimo lungometraggio di John Landis, Burke and Hare, ritorno al grande schermo dopo anni di collaborazioni televisive. In un incontro poco formale e intervallato da bizzarri siparietti telefonici, il regista americano ci ha raccontato gli interessanti retroscena di un'opera che i fan aspettavano da tempo e ci ha rivelato il motivo della lunga assenza dal cinema, confessando che l'uscita di The Blues Brothers gli ha lasciato l'amaro in bocca. E' da allora che Landis preferisce la strada del cinema indipendente a quella dei grandi studios, secondo lui, più attenti alla promozione che alla realizzazione dei film. Provato dal jet lag ed entusiasta dell'ultima visione in sala di The Social Network, il regista di Una poltrona per due, da noi appuntamento fisso nelle serate natalizie davanti al televisore, ci ha parlato delle difficoltà che oggi si devono affrontare per realizzare i film che si desidera girare. Non è un caso che Burke & Hare sia una produzione inglese e che nei credits del cast tecnico compaiano nomi italiani: Landis sembra prendere significativamente le distanze dallo studio system mentre non disprezza il mainstream, in cui affondano le origini del suo cinema, come ribadisce orgogliosamente, né la televisione, con la quale continua ad avere un ottimo rapporto.
La sua filmografia è formata da commedie, horror... generi che sono un po' sottovalutati dalla critica. Come mai secondo lei un atteggiamento così generalizzato? John Landis: Se pensiamo agli horror, sono film che nascono in realtà come B movies e i critici sono un po' presuntuosi a riguardo mentre se pensiamo alla commedia Io e Annie è l'unica che abbia mai vinto un Oscar. Certo ci sono premi per le sceneggiature delle commedie, per i costumi, una cosa difficilmente valutata a eccezione dei film in costume ma non ce ne sono per i film di questo genere. Credo che sia semplicemente una questione di ignoranza. Poi, se posso essere sincero, i premi sono tutte sciocchezze!
Lei ha esordito negli horror e l'impressione è che sia sempre stato attratto dal genere. Adesso invece sembra che abbia cambiato strada. E' anche tornato a girare in Inghilterra, ma ricorrendo all'utilizzo delle eccellenze italiane. Come ci spiega queste scelte? John Landis: Per quanto riguarda le maestranze, mia moglie è costumista e gli inglesi e gli italiani sono specializzati in questo settore. Hollywood aveva dei negozi fantastici, ma ho preferito usare cappelli realizzati da voi italiani.
Da dove nasce l'idea di realizzare un progetto cinematografico così originale?
Cosa direbbe dei suoi attori potendo usare poche parole?John John Landis: Simon Pegg è un attore migliore di quello che crede di essere e questo è stato il primo film in cui gli è stato chiesto d'interpretare un personaggio diverso da quello che è lui nella realtà. Andy Serkis invece si cala sempre in personaggi grotteschi! Jessica Hynes la adoro... Credo che onestamente gli attori ingaggiati per Burke & Hare siano stati tutti grandi.
Come spiegherebbe invece il rapporto che c'è tra i killer e committenti nel suo film? John Landis: Quello che ho cercato di fare in questo film è non scusare affatto i protagonisti e il loro comportamento. Ripenso a una scena de Il Padrino - parte seconda, uno dei momenti che più preferisco del cinema, quando il nuovo don Corleone parla con l'altro della loro storia, delle faide familiari, ripercorrono una storia assurda e lui dice: "Questo è il business che abbiamo scelto". Nel cinema funziona così, anche quando un regista è frustrato. Volevo che i protagonisti sembrassero simpatici ma senza nascondere quello che hanno fatto.
La storia a cui si è ispirato per questo film è vera. Che tipo di differenze ha voluto ci fossero?
Ci sono molti riferimenti e dialoghi al mondo dello spettacolo. Burke & Hare è un film sul fare cinema? John Landis: Quelle cose succedevano anche prima che esistesse il cinema. C'è una realtà fantastica sul cinema e non si può essere obiettivi. Non è mio compito dire agli spettatori quale sia il senso di alcune scene. Cerco sempre di mettere delle cose nei miei film come la politica, ma poi mi accorgo che tutto è politico, perfino il nostro modo di parlare...
Le scenografie del film sono impressionanti. Come ci ha lavorato? Sono state ricreate negli studi o avete girato on location? John Landis: Ho avuto la possibilità di lavorare con tre persone di talento: John Mathieson, direttore della fotografia di Ridley Scott, Deborah Nadoolman, mia moglie che è costumista, e Simon Elliott, lo scenografo. L'unica scena realizzata in interno è quella della prigione, ci abbiamo girato un giorno. Tutto il resto l'abbiamo girato on location. Lo scorso inverno è stato il peggiore della storia d'Inghilterra, è stato difficile girare per strada.
Ci sono fonti a cui vi siete ispirati per riprodurre la Scozia del 1800?
Burke & Hare è un film a basso budget e abbiamo trovato le location tra Londra ed Edimburgo, posti scozzesi che hanno ancora oggi lo stesso aspetto dell'epoca, come il castello. Poi abbiamo modificato in digitale, togliendo segni della modernità. Pensate che per la scena in cui ai due protagonisti sfugge la botte che finisce in vetrina distruggendo le ceramiche esposte, abbiamo dovuto usare le ceramiche originali, che sono collezionate da mia moglie e sono ormai rarissime, piuttosto che farne realizzare delle copie, che ci sarebbero costate di più!
Recentemente lei si è occupato molto di televisione, qual è il suo rapporto con le produzioni televisive? John Landis: C'è una cosa strana che sta succedendo adesso al cinema perché ci sono pochi soldi in circolazione in tutto il mondo ed è comune che gli studios spendano più per vendere film che per realizzarne. Tutto è cambiato e i rischi sono diminuiti perché le scelte puntano ad attirare il pubblico. Ho sempre pensato che la tv fosse buona, ma oggi la televisione permette di fare cose fantastiche che non si potrebbero realizzare al cinema, Credo che sia ciclico! Pensiamo al film The Social Network, che ho visto due settimane fa in America e di cui sono veramente entusiasta: è un tipo di film che Hollywood non faceva da tempo, i dialoghi sono strepitosi e la storia meravigliosa.
Sa che da noi a Natale in televisione trasmettono sempre Una poltrona per due? John Landis: No, non lo sapevo. Sono cose che succedono solo in Italia, in Inghilterra e in Francia e ne sono molto felice! Forse gli italiani vogliono le persone di colore per natale!!
Dalle sue parole emerge che nel cinema ci sia poca voglia di rischiare. E' uno dei motivi per cui lei non realizza più film negli States?
John Landis: No, la causa è che i film che vogliono che io faccia, non li voglio fare. Quelli che invece vorrei fare non me li lasciano fare! So che è una premessa bizzarra!
Si va dove ci sono i soldi e i registi hanno sempre girato il mondo. Dopo The Blues Brothers ero così arrabbiato con gli studios, che hanno voluto dei cambiamenti... Fare film mi piace tantissimo, ho fatto molte altre cose che magari neanche firmo perché le realizzo per beneficenza. Gli studios hanno permesso a Fincher di fare The Social Network quindi c'è speranza....
Una parola sul regista di Una notte da Leoni, che intende realizzare una biopic su Belushi? John Landis: Devo dire che, essendo un film su John Belushi, mi dà i brividi perché John è mio amico.