James Ivory al Festival di Roma con The City of Your Final Destination

Il regista americano sbarca alla kermesse capitolina con la raffinata trasposizione del romanzo Quella sera dorata di Peter Cameron, interpretato da un cast eccezionale nel quale spiccano Anthony Hopkins e Laura Linney. Ad accompagnarlo c'è l'attrice Alexandra Maria Lara.

Arriva fuori concorso alla quarta edizione del Festival del Film di Roma il nuovo film del californiano James Ivory che continua nel suo cinema elegante e raffinato, traendo ispirazione dall'originale romanzo Quella sera dorata di Peter Cameron, tra gli autori più interessanti della recente letteratura americana. In The City of Your Final Destination un giovane ricercatore universitario si reca a Ocho Rios, in Uruguay, per convincere la bizzarra famiglia (fratello, moglie e amante) dello scrittore Jules Gund a concedergli l'autorizzazione per la stesura di una biografia ufficiale del loro caro, autore di un unico libro, La gondola, che ha fatto la sua fortuna. L'incontro avrà conseguenze inaspettate sulle vite di ognuno di loro, personaggi svegliati finalmente da un torpore paralizzante pronti a prendere in mano le redini del proprio destino. Ricco il cast del film, in cui spiccano Anthony Hopkins, nel ruolo del fratello omosessuale dello scrittore, e Laura Linney in quello della vedova austera ostinatamente contraria a concedere l'autorizzazione. Tra gli altri attori anche Charlotte Gainsbourg e Omar Metwally, ma ad accompagnare il regista americano a Roma è soltanto Alexandra Maria Lara, interprete dell'insopportabile fidanzata dell'aspirante biografo, che torna al Festival due anni dopo Un'altra giovinezza di Francis Ford Coppola.

James Ivory, che cosa l'ha colpita del romanzo di Cameron tanto da convincerla a farne un film?

James Ivory: Alcuni amici mi avevano parlato del libro e avevo letto la recensione del New York Times, poi un giorno sono andato a un festival cinematografico e un amico mi ha infilato in tasca il libro, assicurandomi che mi sarebbe piaciuto molto. Ho iniziato così a leggerlo, ed effettivamente l'ho trovato molto interessante, sia per la storia che per i personaggi, e ho pensato subito che sarebbe potuto essere un film bellissimo. Altro motivo che mi ha spinto poi a farne un film, è stata l'idea di andare a girare in Sud America, perché non c'ero mai stato.

Perché l'affascinava tanto l'idea di girare in Sud America?

James Ivory: Come sapete, mi piace molto viaggiare e girare i miei film in paesi sempre diversi. Ho girato dappertutto, ma non avevo mai avuto l'opportunità di lavorare in America Latina. Subivo il fascino di un luogo che non conoscevo e che ero convinto mi sarebbe piaciuto. Infatti, è stato proprio così.

Il film è ambientato in una località dell'Uruguay, ma avete girato in Argentina. Avete avuto difficoltà con le location, gli animali e i cowboy del posto?

James Ivory: No, non è stato affatto difficile gestire le mucche e i tori. A volte succede che gli animali creino problemi quando si guida, perché spesso le strade in Argentina non sono asfaltate, ma non abbiamo avuto alcun tipo di problemi con la natura. I cowboy erano veri gauchos e si sono occupati del bestiame. Il clima non è stato favorevole, abbiamo girato nella stagione peggiore, l'estate, ma per fortuna c'era anche una piacevole brezza fresca.

Il suo cinema è spesso caratterizzato dalla presenza di corpi estranei che irrompono in una realtà diversa, scardinandola in qualche modo e restandone scardinati. Anche questo film è la storia di un corpo estraneo che arriva in un contesto chiuso e stravolge tutto. Cosa l'attira di queste storie?

James Ivory: Credo che il motivo principale stia nel fatto che queste figure vivano situazioni simili a quelle in cui vengo a trovarmi durante i miei viaggi. Dovunque io mi rechi per girare un film, che sia la Francia o l'India, sono sempre uno straniero. Anche lo sceneggiatore vive la stessa situazione, quella cioè di un outsider, e per me è naturale seguire questa linea. Nel caso di The City of Your Final Destination, c'è un motivo in più che mi lega a questo tipo di personaggio, e cioè la situazione del rifiuto da parte di questa famiglia di acconsentire alla scrittura della biografia del loro caro, e del desiderio dei due ricercatori americani di convincerli a cambiare idea. Si tratta di un concetto interessante, e io stesso ho vissuto una situazione analoga quando abbiamo cercato di fare un film su Pablo Picasso. La famiglia del pittore ha rifiutato di collaborare e non ci ha dato l'autorizzazione a utilizzare le sue opere.

Aveva in mente fin dall'inizio gli attori?

James Ivory: Ho pensato immediatamente a Anthony Hopkins, gli ho spedito il copione e mi ha detto subito che gli piaceva la storia. Dopo aver incontrato Charlotte Gainsbourg a Parigi, mi sono poi convinto subito che fosse la persona più adatta a interpretare il ruolo di Arden. Per gli altri personaggi è stato più difficile fare il casting. Per esempio, nessuno voleva interpretare il ruolo che poi è stato affidato ad Alexandra Maria Lara, perché tutte le attrici pensavano che quel personaggio fosse una stronza ambiziosa e nessuna se la sentiva di interpretare quella parte. Anche il ruolo di Caroline non era da meno, si è passati da attrice ad attrice, poi ho pensato a Laura Linney, alla quale non dispiace interpretare personaggi poco gentili.

Sono ventiquattro anni che lei lavora con la stessa sceneggiatrice, Ruth Prawer Jhabvala. Come funziona il vostro rapporto di lavoro?

James Ivory: In realtà, sono quasi quarant'anni che lavoro con lei, ma ci sono stati anche altri sceneggiatori coi quali ho collaborato. Ruth non è stata con me da sempre, ma lo è stata per la maggior parte dei film, se non altro quelli più amati dal pubblico. E' una scrittrice di fiction, scrive anche storie brevi e pubblica su diverse riviste, e quando decide di adattare un'opera molto nota, un classico, utilizza una visione molto acuta, capisce subito quali sono i difetti, le parti difficilmente adattabili per il grande schermo. Non è lì che adora il classico, ma comprende perfettamente come dev'essere modificato il testo originale. Di solito funziona così: se dopo aver finito un libro penso ne possa uscire un buon film, lei lo legge e mi dà la sua impressione. Se il progetto non la convince, ci rivolgiamo a qualcun'altro o abbandoniamo l'idea. Io poi sottolineo dei brani che mi piacciono particolarmente, e che voglio tenere assolutamente nel copione definitivo. Lei quindi si mette al lavoro da sola e realizza la sceneggiatura, io la leggo, iniziamo a lavorare insieme e arriviamo allo script definitivo. Altre volte invece è lei che chiede a me di fare l'adattamento, poi a quel punto abbandona il libro e va a lavorare a partire dalla mia sceneggiatura, suggerendo alcuni tagli al copione di partenza.

Nei suoi film c'è sempre un attenzione particolare all'Italia, in questo caso c'è un riferimento a Venezia attraverso la gondola. Com'è il suo rapporto col nostro paese?

James Ivory: Ho girato il primo film proprio in Italia, a Venezia. Ero un ammiratore di tutto quello che riguarda il vostro paese. Mi piaceva l'idea della gondola, che ha un valore simbolico nella storia, per coloro cioè che hanno deciso di portarla fino in America latina. C'è comunque un lungo rapporto che mi lega all'Italia, alla quale associo molti sentimenti positivi.

Può dirci invece qualcosa di più sul suo interesse nei confronti della nobiltà inglese?

James Ivory: In realtà non è un argomento che mi interessi più di tanto. L'ultima volta che mi sono occupato dell'alta società inglese, dell'aristocrazia, è stata in Quel che resta del giorno, perché poi ci sono stati film su americani che avevano inglesi come camerieri. Di solito non parlo della nobiltà, ma della borghesia o dell'alta borghesia. Altre volte sposo invece il punto di vista sulla borghesia di Foster, perché la sua visione è molto interessante. Ho realizzato ormai venti film e solo quattro dei quali sono inglesi. I miei interessi sono perciò più ampi rispetti alla nobiltà inglese.

Alexandra Maria Lara, com'è andata l'esperienza con James Ivory sul set e perché ha accettato un ruolo così antipatico?

Alexandra Maria Lara: Quando l'agente mi ha chiamata e mi ha detto che poteva esserci la possibilità di fare questo film mi trovavo a Budapest, mentre James era a New York. Ero impegnata sul set di un film e non avevo alcuna possibilità di incontrarlo, così l'agente ha pensato di utilizzare Skype, un programma su internet, per farmi comunicare direttamente con il regista. Ci siamo perciò incontrati per la prima volta online ed è stato eccezionale, perché nei dieci minuti in cui è durata la nostra conversazione volevo convincerlo che ero la persiona giusta per quel ruolo, anche senza aver letto il copione. E' divertente interpretare il ruolo di una persona un po' diversa, e mi è piaciuta molto quest'esperienza. L'atmosfera dell'Argentina era magnifica, tutte le persone che lavoravano a questo progetto hanno dimostrato passione e devozione.

Quanto è cambiata la sua vita dal film di Coppola presentato due anni fa proprio qui a Roma

Alexandra Maria Lara: Quella è stata l'esperienza più sorprendente che abbia mai fatto. Il film di Coppola purtroppo non ha avuto un grande successo e non è stato apprezzato per quello che meritava, ma penso che col tempo il giudizio si modificherà, perché è un film molto interessante. Dopo aver parlato con James su Skype, ho pensato 'Beh forse pensa che se Coppola ha voluto lavorare con me non sono poi così male'. Spero che questo film troverà invece il giusto pubblico perché si tratta di un'opera davvero straordinaria.