Recensione Marpiccolo (2009)

Un film fortemente fisico, caratterizzato dalla forza prorompente dei suoi protagonisti, mossi da una rabbia che li spinge continuamente allo scontro e che l'attenta regia provvede a cogliere con puntualità.

Non ti buttare via

C'è una miseria morale evidente in Marpiccolo di Alessandro di Robilant, film cupo che sprofonda lentamente in una totale disperazione, ambientato in uno dei quartieri più degradati di Taranto, il Paolo VI, con il mostro-Ilva perennemente adagiato sullo sfondo, coi suoi fumi tossici a sporcare l'aria. Da quelle parti ogni famiglia ha un morto per tumore, ma a morire presto è soprattutto la speranza di una vita dignitosa. Come se quello stabilimento siderurgico, che produce da solo un decimo dell'inquinamento di tutta l'Europa, avesse contaminato la società stessa, alimentando tra gli abitanti del posto il cancro della criminalità e una diffusa disillusione. Protagonista del film è un giovane alle prese con entrambi i mali, che neppure l'idea romantica dell'amore invincibile in cui sogna di ovattarsi salverà dal carcere, ma che tornerà a offrirgli una nuova occasione di riscatto.

Liberamente tratto dal romanzo Stupido di Andrea Cotti, tra gli autori della sceneggiatura insieme a Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, Marpiccolo rappresenta una buona istantanea della situazione sconfortante dei giovani di oggi in un contesto ai limiti del catastrofico. La fotografia dai colori saturi e il malinconico e potentissimo post rock dei Mokadelic come colonna sonora aiutano l'opera di Di Robilant, il cui ultimo lavoro risaliva al 2003 con quel Per sempre scritto da Maurizio Costanzo a tracciare una mappa del degrado urbano, sociale e umano di una terra ferita, un pantano di malessere dove i sogni crescono malati. E' un film fortemente fisico, caratterizzato dalla forza prorompente dei suoi protagonisti, mossi da una rabbia che li spinge continuamente allo scontro e che l'attenta regia provvede a cogliere con puntualità. Di Robilant si dimostra piuttosto abile anche nella scelta dei suoi attori: l'esordiente Giulio Beranek ha un volto che sembra scolpito per il cinema e una capacità espressiva e gestuale davvero fuori dal comune; sua 'madre' Anna Ferruzzo vibra del dolore e della collera che definiscono il suo personaggio.
Buona parte di Marpiccolo è sviluppata in maniera sfrenata e spesso smisurata nel suo premere sullo scoramento e sugli eventi tragici, andando ad assommare problemi familiari, crimini più o meno gravi, botte, sangue e colpi di pistola, ma la storia si mantiene tutto sommato plausibile e il suo carico emozionale favorisce il coinvolgimento. Quando però la dimensione del film abbraccia sfacciamente la denuncia sociale, tra l'invito a preservare la propria intelligenza attraverso la cultura per uscire dallo squallore, come spiegato dalla maestrina Valentina Carnelutti e quello a non lasciarsi fregare da un mondo sbagliato che porta sempre al conflitto e provvede a metterci l'uno contro l'altro, come gridato dall'educatore Giorgio Colangeli, la deriva diventa quella di un manifesto da mostrare nelle scuole per muovere le coscienze degli studenti, soprattutto di quelli più scapestrati. Le ingenuità del film, l'ansia di dire tutto e subito, di caricare le spalle del povero protagonista di ogni possibile problema riguardante la gioventù bruciata, smorzano fatalmente il suo potenziale, quella forza che a tratti si subisce e si apprezza.