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It's A Sin è il titolo di una canzone anni '80 dei Pet Shop Boys. Una cover è stata fatta dagli Years and Years, il gruppo musicale di cui fa parte Olly Alexander, giovane e promettente attore britannico dichiaratamente omosessuale. Years and Years è anche il titolo di una serie gigantesca di Russell T. Davies, tornato in tv con la miniserie di Channel 4 It's A Sin, lo stesso titolo di quella canzone anni '80 con tra i protagonisti proprio Olly Alexander. Tralasciando le coincidenze lostiane, in questa recensione di It's A Sin, presentata a Berlinale Series e dal 1 giugno su StarzPlay, cercheremo di spiegare perché la serie sia importante, coraggiosa e andrebbe vista da tutti.
È un peccato
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Il peccato del titolo e ovviamente quello di essere gay, visto come tale dalla società retrograda e chiusa di allora (non che ora siamo messi tanto meglio, a pensarci bene). Un'identità che accomuna i protagonisti della storia narrata, che può sembrare un teen drama ma in realtà è un racconto estremamente maturo ed è anche un romanzo di formazione. Siamo appunto negli anni '80 e un gruppo di ragazzi adolescenti si trasferisce dalla provincia alla scintillante Londra pieno di speranze per il futuro. Le strade dei personaggi si incroceranno inaspettatamente e diverranno protagonisti della scena LGBT dell'epoca, che dovrà combattere con quella che fu orribilmente definita "la malattia dei gay". Stiamo parlando dell'AIDS e questa miniserie vuole raccontare nei suoi cinque episodi nascita e sviluppo di questa "epidemia" che sembrava colpire solo le minoranze, su cui c'era molta cecità e ignoranza e per la quale ci vorranno molti anni per essere compresa e affrontata a dovere. Tutt'oggi vi è un po' di disinformazione e carenza a riguardo.
Dalla provincia alla scintillante Londra
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Ritchie (Olly Alexander) arriva dall'isola col traghetto volendo studiare legge ma rendendosi presto conto di voler fare l'attore, "essere su tutti i manifesti ed essere fermato per strada". Colin (Callum Scott Howells) ha ottenuto un posto da apprendista in un negozio per abiti da uomo. Roscoe (Omari Douglas) è un ragazzo nero la cui famiglia sta pregando perché venga guarito dall'omosessualità e che quindi decide di scappare di casa. Ash (Nathaniel Curtis) sogna l'insegnamento mentre Jill (Lydia West, già vista proprio in Years and Years e definita da Davies "il cuore dello show") sembra avere molteplici talenti, con il pallino della recitazione anche lei. Quasi tutte le famiglie sono all'oscuro dell'omosessualità dei figli, e questo comporterà non pochi problemi per i protagonisti.
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Il gruppo diverrà inseparabile nel corso del decennio raccontato (un'altra caratteristica di Davies è quella di attraversare più anni, proprio come in Years and Years), andrà a vivere insieme in una grande casa e affronterà le di sfide quotidiane della vita adulta da indipendenti, gli amori, il lavoro, e così via, potendo contare sempre l'uno sull'altro, più che sulle proprie famiglie. Ma la battaglia più grossa e più crudele, che non farà sconti e mieterà molte vittime, sarà quella contro l'AIDS e soprattutto il tentare di informarsi su una malattia di cui nessuno voleva parlare, né al governo, né negli ospedali né fra i cittadini. Un virus quello dell'HIV che avrà bisogno di tempo per essere compreso e che porterà anche a proteste pacifiche per venire ascoltati da parte dei protagonisti.
Luci al neon
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La colonna sonora spudoratamente anni '80 e la fotografia al neon della miniserie sono solo alcuni aspetti che la rendono immediatamente riconoscibile e un altro importante tassello nella filmografia di Russell T. Davies. Quello che colpisce nell'ottima caratterizzazione di personaggi sfaccettati in scrittura prima e nell'incredibile interpretazione di un cast giovane ottimamente scelto poi, è la drammaticità degli eventi raccontati, che eleva il semplice teen drama. La delicatezza, l'ironia e allo stesso tempo la crudezza con cui vengono affrontati quegli stessi temi anche nel confronto fra ragazzi e adulti (già nella storia quello fra Lydia West e Keeley Hawes (Bodyguard, The Missing), che interpreta la madre di Ritchie. Adulti, impreziositi da guest star come Neil Patrick Harris e Stephen Fry, che dovrebbero essere quelli con le risposte o almeno quelli che vogliono proteggere i figli a tutti i costi, e invece si dimostrano spesso quelli più cechi e sordi di fronte alla gravità e all'importanza della comunicazione riguardo la diffusione del virus. Una serie da vedere, anzi da vivere insieme ai protagonisti.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di It’s A Sin contenti di aggiungere un altro importante tassello nella filmografia di Russell T. Davies, che ancora una volta riesce a creare un universo variopinto e coeso per denunciare l’ignoranza e la mancata comunicazione di un virus che avrebbe potuto mietere molte meno vittime, se gli adulti fossero stati più aperti e responsabili sui propri figli e sui giovani in generale.
Perché ci piace
- L’ottima scrittura di Russell T. Davies, che presenta ancora una volta personaggi sfaccettati e sinceri, attraversando un decennio nel racconto.
- L’incredibile cast scelto, soprattutto quello giovane, su tutti Lydia West e la sua combattiva e amorevole Jill.
- La colonna sonora e la fotografia, così marcatamente anni ’80, che strizza l’occhio allo spettatore.
Cosa non va
- Potrebbe lasciare un po’ interdetti la crudezza di alcune scene chi cerca maggior intrattenimento.