It's a long way to Santiago...
Di certo il meno noto del clan Sheen, Emilio Estevez, figlio di Martin e fratello di Charlie, ha comunque intrapreso una carriera artistica di tutto rispetto, esordendo dapprima come giovane interprete di alcuni film divenuti cult generazionali degli anni Ottanta come I ragazzi della 56a strada, Breakfast Club o St. Elmo's Fire (ma anche di una serie di apprezzati titoli demenziali come Il giallo del bidone giallo e Palle in canna). In seguito, invece, si è affermato come sceneggiatore e regista di film indipendenti, caratterizzati sovente da un'attenzione verso temi sociali e politici, affrontati secondo un'ottica progressista come quella del padre. A partire da Conflitti di famiglia (1996), Estevez infatti intreccia tematiche familiari e collettive (spesso servendosi dell'apporto del genitore in qualità di interprete) ricorrendo a uno stile registico dall'impronta classica e quasi teatrale, in quanto fondato essenzialmente sulla recitazione. È forse per questo che, con l'unica eccezione di Bobby (2006) - affresco corale interamente ambientato nell'hotel in cui è stato ucciso Robert Kennedy, acclamato al Festival di Venezia - il suo cinema, pur pregno di contenuti e di riflessioni, è passato quasi sempre in sordina. È probabile che la medesima sorte toccherà, purtroppo, anche a questa sua ultima fatica, Il cammino per Santiago che, dopo essere passato attraverso vari festival (da Toronto al nostro Fiuggi Film Festival, dove ha ricevuto una menzione speciale), viene distribuito in questa desolante stagione cinematografica estiva.
Ispirandosi al libro di Jack Hitt, che rilegge in chiave moderna uno dei più mistici e solenni pellegrinaggi della tradizione cristiana fin dall'epoca medioevale, Emilio Estevez mette in scena un'altra opera che parte dal tema della famiglia (portando sullo schermo di nuovo il padre) per indagare in maniera critica la fine del sogno americano, questa volta però filtrando il tutto attraverso un'inedita prospettiva spirituale. Il film affronta uno dei traumi più laceranti e insanabili che possa subire un uomo - vale a dire la morte del proprio figlio - circoscrivendo il percorso di dolorosa elaborazione del lutto del protagonista attraverso l'esperienza del pellegrinaggio verso il santuario di Santiago di Compostela. Tom Avery (Martin Sheen), oftalmologo californiano, giunge sui Pirenei per recuperare la salma di Daniel (lo stesso Emilio Estevez, che appare in alcune visioni e flashback del protagonista), figlio idealista e ribelle morto in un incidente durante il Cammino. Una volta approdato in questo luogo dall'atmosfera mistica, l'uomo sente il naturale e istintivo impulso di continuare il pellegrinaggio in sua vece, spargendo le ceneri del figlio in ogni tappa dell'accidentato percorso. Il suo è un gesto del tutto irrazionale e assolutamente non premeditato, ma dal profondo valore catartico e spirituale: Tom si appropria del lasciapassare di Daniel, inforca il suo stesso zaino e parte per questa folle impresa, con l'obiettivo di identificarsi totalmente con il figlio e di riuscire, un'ultima volta, a riconciliarsi con lui. Sorta di road movie dell'anima, Il cammino per Santiago vive essenzialmente del tema del viaggio come metafora dell'esistenza, ed è pervaso di numerose simbologie, a partire da quella del personaggio di Tom, medico degli occhi ma incapace di "vedere" nell'animo di Daniel quando questi era in vita. D'altronde è lo stesso pellegrinaggio verso Santiago di Compostela a essere caratterizzato da numerosi elementi dalla forte valenza simbolica, com'è tipico di tutti i gesti e le azioni che hanno un significato religioso e spirituale: le conchiglie che portano al collo i pellegrini, i timbri impressi sul lasciapassare che segnano le varie tappe del percorso e il sasso che viene gettato di fonte al santuario per chiedere perdono dei propri peccati, sono solo alcuni esempi emblematici. La dimensione metaforica è inoltre presente in un'altra componente della storia, quello dal carattere più "politico" e legato all'attualità, che però risulta forse il lato più debole e semplicistico del film. Durante il suo cammino, infatti, Tom incontra altri compagni di viaggio provenienti da diverse nazionalità - l'olandese estroverso e sovrappeso Joost (Yorick van Wageningen), la canadese scontrosa e tabagista Sarah (Deborah Kara Unger) e lo scrittore irlandese in crisi Jack (James Nesbitt) - con i quali riesce a solidarizzare nonostante le iniziali reciproche diffidenze. Dapprima preso in giro e osteggiato per essere un tipico esemplare del Baby Boom statunitense (memorabili alcune battute come "finalmente ho incontrato un americano senza opinioni"), Tom dimostrerà nel corso del viaggio di andare oltre lo stereotipo dell'intollerante americano medio, riuscendo anche ad apprezzare culture "altre" come quella gitana (protagonista di un divertente intermezzo etnico).
Lungo e meditativo, come è giusto che sia, e caratterizzato da un incedere lento - anche se puntellato da situazioni brillanti che stemperano i toni - Il cammino per Santiago, pur con alcuni limiti dettati proprio dall'eccessivo schematismo insito nella struttura e nel messaggio dell'opera, si rivela un film corposo e solido, interessante non tanto sotto l'aspetto religioso, quanto soprattutto per quello emotivo e umano dei suoi personaggi. Emilio Estevez conferma ancora una volta la sua vocazione per un cinema d'attori, che in questo caso si fonda per massima parte sulla vibrante e intensa performance di Martin Sheen, a sua volta sostenuto da un valido gruppo di comprimari.