Il genere horror gode di una salute piuttosto buona nei cinema americani, soprattutto quando c'è di mezzo il produttore Jason Blum con la sua formula dei brividi a basso budget (spese di produzione non superiori a 5 milioni di dollari, salvo casi eccezionali legati ai sequel). Poi è arrivato It, adattamento targato Warner Bros. dell'omonimo romanzo di Stephen King (o meglio, di una parte di esso), che nel suo primo weekend di programmazione in patria ha incassato 123 milioni di dollari. Una cifra da record, che supera la media statunitense dei film prodotti da Blum e anche quella del franchise horror di punta della stessa Warner, L'Evocazione - The Conjuring. Un successo le cui ragioni vanno ben oltre le solite considerazioni sulla qualità del film (che il sottoscritto ha già avuto modo di vedere) e sono invece ricollegabili, almeno in parte, a un'evoluzione dei nuovi trend audiovisivi.
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Un film che pensa in grande
Il regista Andres Muschietti, intervistato recentemente da Empire, ha offerto la sua teoria circa la primissima fase del successo del film, quando il primo trailer ha accumulato su internet 197 milioni di visualizzazioni nelle prime 24 ore, battendo i record di franchise come Fast & Furious e Star Wars: a differenza di altri horror, It è un prodotto più ambizioso a livello contenutistico e visivo, capace di competere con i blockbuster più popolari e quindi meritevole di essere visto più volte in sala. In effetti se si fa il paragone con altri successi horror la differenza è palese: film come Paranormal Activity, Sinister o Scappa - Get Out, ma anche lungometraggi più costosi come Annabelle 2: Creation, tendono ad avere una struttura quasi aristotelica, limitando l'azione a un periodo breve e tendenzialmente in un unico luogo (casa infestata, orfanotrofio, monastero, eccetera), mentre la trasposizione del romanzo di King coinvolge un'intera comunità, la città di Derry, e racconta il conflitto tra il Club dei Perdenti e la malefica entità che si cela dietro il sorriso da clown di Pennywise nel corso di una storia che dura un anno intero, dall'autunno del 1988 alla fine dell'estate del 1989 (e questo senza contare la già annunciata seconda parte, ambientata 27 anni dopo). Per gli standard del genere, abbiamo a che fare con un vero e proprio blockbuster del brivido, un racconto epico in tutti i sensi (la divisione in due film è una scelta obbligata poiché il libro supera abbondantemente le 1000 pagine).
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Nostalgia, portami via
Si può anche dire che It sia arrivato al momento giusto, nel periodo in cui un certo immaginario d'altri tempi continua a rifarsi vivo sugli schermi, che si tratti di Star Wars, Indiana Jones o (citando un esempio horror) Poltergeist al cinema oppure Le amiche di mamma e I segreti di Twin Peaks in televisione e su Netflix. E proprio sulla piattaforma di streaming è stata lanciata con successo, lo scorso anno, la serie Stranger Things, ambientata negli anni Ottanta e fortemente influenzata, tra le altre cose, dall'opera di King. Non dovrebbe quindi sorprendere più di tanto l'interesse del pubblico per un film che esplora territori simili, ai quali va aggiunto il fattore nostalgia per quanto riguarda il precedente adattamento del romanzo. Parliamo, ovviamente, della famigerata miniserie televisiva andata in onda nel 1990, di cui molti spettatori serbano un ricordo in parte positivo grazie alla terrificante performance di Tim Curry nei panni di Pennywise (interpretato nel film da Bill Skarsgård). Inoltre, per una meravigliosa coincidenza cosmica dovuta alla defezione del regista originale Cary Fukunaga, il nuovo lungometraggio è arrivato nelle sale 27 anni dopo la miniserie, un lasso temporale molto caro ai fan di King poiché è l'arco di tempo durante il quale It rimane inattivo, prima di tornare a mietere vittime nutrendosi delle loro paure. E a tal proposito...
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Orrori umani
L'ultimo fattore, forse quello determinante, è legato proprio alla natura di It/Pennywise, che si manifesta assumendo la forma di ciò che la vittima teme di più. Un espediente che permette a King sulla carta e a Muschietti sullo schermo di andare oltre lo scontro fra bene e male per raccontare un altro tipo di orrore, quello dell'adolescenza. Sia nel romanzo che nel film, alcuni dei passaggi più disturbanti riguardano gli atti di bullismo nei confronti dei Perdenti da parte di ragazzi più vecchi, o il rapporto morboso tra Beverly Marsh e il padre violento. Siamo quindi lontani dai demoni di Paranormal Activity e Annabelle, e più vicini alla paura dietro l'angolo che ha decretato il grande successo di Get Out (il cui incasso totale in patria è stato battuto dal secondo weekend di programmazione di It). Per certi versi, King e Muschietti parlano di noi, e dei timori che ci inseguono nella vita di tutti i giorni. Timori che, complice un malefico clown dal carisma scandinavo, vogliamo esorcizzare nel rito collettivo della sala cinematografica, facendoci trasportare nella provincia americana che (non) fu.
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