Recensione Arca russa (2002)

Di non facile visione e di non immediato impatto, Arca Russa è un piccolo gioiello, raffinato e luminoso, che lascerà un segno.

Invito a palazzo

Presentato in concorso al Festival di Cannes nel 2002, Arca Russa è il primo lungometraggio girato interamente in soggettiva ed in piano sequenza, registrato su un sistema portatile di Hard Disk invece che in 35 millimetri o su cassetta. Alexander Sokurov realizza così un progetto tenuto nel cassetto per quindici anni, regalando alla storia del cinema la più lunga sequenza senza stacchi di macchina mai girata (senza tener conto degli esperimenti underground di Andy Warhol).

La macchina da presa segue ininterrottamente i passi di un diplomatico francese dell'Ottocento fra le sale dell'Hermitage rivivendo, come in un sogno, episodi e periodi della storia russa.

L'Arca è lo strumento di salvezza, ciò che protegge dalla morte e dal tempo l'umanità. L'antico legno, come un prezioso sarcofago, attraversa il tempo e lo spazio per restituirci ciò che può andare perduto, ciò che è destinato a perire. L'Arca è ciò che naviga, procede, trasporta incessantemente, senza mai fermarsi, è la Storia, contenitore di vita e fatti. Storia in quanto salvezza del patrimonio umano, portatrice di significati, culla di civiltà, strumento che tramanda il senso degli avvenimenti ricordandoci da dove veniamo per indicarci dove procedere.

Sokurov ricorre alla metafora dell'Arca per condurci all'interno della storia russa e traghettarci alla (ri)scoperta del grande ed affascinante paese attraverso l'arte, vero patrimonio da conservare, conoscere e contemplare. Il regista sceglie, infatti, di condurci attraverso i corridoi e le sale dell'Hermitage, monumentale museo di San Pietroburgo, nonché ex residenza degli zar da Pietro il Grande alla rivoluzione di Ottobre, prestandoci i suoi occhi avidi di catturare le meraviglie di quadri, sculture, affreschi: dal rinascimento italiano, al neoclassicismo di Canova, ai maestri fiamminghi, alle cerimonie diplomatiche, ai balli, al teatro, all'orchestra, ai costumi, alle ceramiche. Tutto è bellezza, tutto è arte, persino la guerra è mostrata come una gelida galleria popolata di spoglie cornici e sarcofaghi. L'arte è il mezzo privilegiato da Sokurov per raccontare Pietro il Grande, Caterina II, Nicola I, e gli ultimi zar; è il tesoro che l'Arca russa, l'ex palazzo d'Inverno, conserva e tramanda. Il nostro sguardo è catturato dallo splendore che riempie e riveste ogni dettaglio stancandoci quasi alla vista forzata di tutta quella bellezza, rendendoci prigionieri di quello sguardo imposto 'dall'alto', ossia dal regista che ci traghetta con il moto ondulatorio della videocamera e ci culla con la sua voce.
Forse è tutto un sogno, in cui non c'è linearità, non esistono limiti spazio-temporali ed ogni cosa scorre davanti agli occhi. Non c'è alcuno stacco, tutto passa in un flusso continuo, gira attorno, scavalca, supera, torna indietro, ma non si ferma, non si può fermare perché la Storia è un'Arca in perenne movimento.

Sokurov compie il suo viaggio/sogno ideale scegliendo non solo di mostrare, ma anche di dialogare con la storia, interrogandola. È per questo che introduce la figura del marchese francese, quale passaporto per il passato, colui che solo può essere visto, e che, a sua volta, presta il suo sguardo e la sua voce al regista. È lo sguardo critico e sarcastico di un europeo che guarda ad Oriente attraverso il suo bagaglio culturale, ma è anche l'ombra malinconica del diplomatico del congresso di Vienna che guarda con nostalgia ad un periodo spazzato via dagli eventi successivi.

Di non facile visione e di non immediato impatto, Arca Russa è un piccolo gioiello, raffinato e luminoso, che lascerà un segno. In ultima analisi il Cinema in quanto arte, e più di tutte le arti, sembra voler dirci Sokurov, dona l'immortalità a ciò che è in divenire sfidando e dissolvendo qualsiasi vincolo spazio-temporale.