Alla quarantesima edizione del Cartoon Club, tenutasi a Rimini in contemporanea con il Riminicomix, Simone Massi ha ricevuto il premio alla carriera. Trent'anni dopo esser stato premiato proprio al Cartoon Club, l'animatore tra i più prolifici del cinema italiano, fino all'anno scorso attivo solo sui cortometraggi d'autore, si appresta al debutto al cinema con il suo primo lungometraggio. Fa strano definirlo un esordiente, ma di questo si tratta, per lui che lo scorso anno aveva presentato Invelle alla Mostra del Cinema di Venezia. Un anno di attesa prima dell'arrivo in sala, che ha messo a nudo quelle che sono le problematiche non solo da punto di vista della distribuzione, ma anche per quello che accade nel nostro Paese quando si parla di cinema d'animazione, a maggior ragione se d'autore.
Abbiamo parlato con Massi di quelle che sono le difficoltà di questo tipo di cinema e, soprattutto, del passaggio avvenuto dal cortometraggio al lungometraggio, lui che ha raccolto Nastri d'argento e David di Donatello grazie ai racconti brevi, mai oltre i 10 minuti.
Un premio alla carriera
Con all'attivo oltre 200 premi vinti nei principali festival nazionali e stranieri, Simone Massi è ritenuto uno dei più grandi animatori a livello internazionale: allievo dello studio Bozzetto, ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nel panorama dell'animazione e la sua storia, per lui che è classe 1970, potrebbe quasi ricollegarsi con un filo doppio a Rimini. "Per me Cartoon Club ha un valore storico importante: è stato il primo festival che mi ha assegnato un premio, trent'anni fa. Tornare a distanza di tanti anni per ricevere un premio alla carriera è motivo di grande orgoglio per me. Parallelamente, c'è una delle mie prime mostre di disegni, qui al Rimini Comix, e c'è una grande soddisfazione da parte mia. Non è scontato che ci sia anche un supporto molto umano da parte dell'organizzazione, che mi permette di essere soddisfatto in ambo i casi".
Da Venezia alle sale, un anno dopo
Invelle arriva al cinema tra pochi giorni e Simone Massi non può non pensare un po' al rammarico di un'uscita così ritardata dalla distribuzione, un anno dopo averlo visto a Venezia: "Sicuramente non posso dirmi contento. Non sono nemmeno troppo dispiaciuto, però, perché l'idea di cinema che avevo è superata; quindi, spero che questa uscita a distanza di un anno possa portare dei risultati utili. Non penso solo a me, però, ma anche al movimento del cinema d'animazione d'autore che è abbastanza penalizzato, storicamente. La mia speranza è che l'attesa possa servire a tutti i miei colleghi, in particolar modo quelli più giovani, che vedono il sottoscritto come un punto di riferimento. Per quel che riguarda le cause, c'è da dire che dipendono molto dal sistema che è cambiato: gli autori più importanti, i più noti e i più popolari escono subito, mentre gli indipendenti, che non portano molte persone al cinema, devono accontentarsi delle retrovie, delle uscite ritardate in sala. L'uscita nelle sale è comunque un successo, quindi sono in parte soddisfatto".
Invelle, la recensione: la grande animazione italiana autoriale di Simone Massi
Italia, un disastro chiamato animazione
È chiaro che in Italia ci sia un problema endemico dal punto di vista della produzione d'animazione. Un trend che si sta provando a invertire, soprattutto grazie a quanto accaduto negli ultimi mesi. Margherita Giusti ha vinto il David di Donatello al miglior cortometraggio con un film d'animazione, prodotto tra l'altro da Luca Guadagnino, mentre Amazon Prime Video ha annunciato la produzione della sua prima serie d'animazione.
"È difficile fare animazione in Italia perché non c'è una conoscenza del cinema d'animazione d'autore. Fino a non tantissimi anni fa l'animazione, per la quasi totalità del pubblico, significava dire "cartone animato", oppure un'animazione comica, fatta per far ridere. Qualcosa sta cambiando, adesso, ma rispetto al cinema tradizionale, quindi quello di finzione e documentaristico, pur nascendo nello stesso periodo è indietro di chilometri. Ogni nostro passettino costa uno sforzo sovrumano, mentre quello di finzione e documentaristico viaggia alla velocità della luce. È difficile far capire alle case di produzione, alle televisioni, alle Film Commission, alle istituzioni che la nostra è una forma d'arte di pari livello agli altri. Stiamo perdendo tempo nel tentativo di far capire la bontà del nostro lavoro: ci sono risultati che arrivano dai David, da Cannes, da Venezia, ma sono tutti prodotti realizzati con basso budget. Francamente non so se le istituzioni sono davvero sorde o preferiscono non sentire, perché la torta da spartire è talmente piccola che non ha senso spartirla. Il mio mestiere è quello di disegnare, ma qualche domanda in questi anni me la sono fatta".
Continuiamo a vivere nel passato
Siamo il Paese di Giuliano Cenci, che per anni è stato definito come il Walt Disney italiano, ma anche di Bruno Bozzetto, di cui Simone Massi è stato allievo. Senza dimenticarci che ai tempi del Fascismo, su indicazione del ministro Rocco, era stata avviata la produzione di un Pinocchio animato che avrebbe dovuto anticipare quello di Disney. Un Paese che ha una forte tradizione, che continua ad avere in tanti maestri spunti interessanti, ma che non riesce a garantire un futuro alle prossime generazioni. "Sono in una posizione che è diventata di privilegio: continuo a fare le mie cose, ho superato la china più dura e a differenza del principio, quando ho iniziato, sono gli altri a cercare me. Quelle che sono le aspettative dei giovani autori, francamente faccio fatica a capire come possano emergere. Molti dei ragazzi che hanno collaborato con me prima, all'inserto d'animazione che era all'interno del documentario girato da Stefano Savona, in seguito tutta la squadra che ha lavorato al lungometraggio continua a scrivermi, a cercarmi, a chiedere se c'è dell'altro, altro lavoro. Senza neanche chiamarsi, fare le call, spiegarsi, è evidente che i problemi storici degli ex studenti di cinema d'animazione continuano anche oggi".
E prosegue: "Non credo ci siano tante strade: o si finisce a realizzare degli spot commerciali o si arriva a collaborazioni saltuari. Non riesco a dare regolarità al mio lavoro, figurarsi a quello degli altri. Storicamente gli ex studenti, specialmente quelli della scuola di Urbino, che conosco meglio, si arrangiano come possono: lavorano nei bar, nei ristoranti, e nei ritagli di tempo portano avanti quella che è la loro passione facendo fumetti o cortometraggi. Quest'ultimo, però, è un lavoro lunghissimo, anche per vedere risultati, rispetto al fumetto e all'illustrazione, ma sono pochissimi gli autori che vivono solo di cinema d'animazione senza insegnare o senza avere lavori paralleli. Forse io sono uno dei pochissimi. Immagino che nella zona del pesarese, della Romagna, cerchino me, mentre in altre zone d'Italia francamente non saprei cosa succede. So che in tanti si sono trasferiti in Francia. "
La distanza con gli altri Paesi
Proprio il modello francese è quello che si sta esaltando di più nell'ultimo periodo. Il Japan Expo, Annecy, il MIFA, sono tutte manifestazioni che iniziano a essere imprescindibili nella carriera di un illustratore, animatore o anche sceneggiatore: tutti vogliono lavorare con la Francia. "In Francia, circa 40 anni fa o forse anche 50, hanno visto quello che poteva essere il cinema d'animazione. Hanno investito, sono riusciti a creare una cultura e adesso è una fabbrica che va avanti per conto suo. Non c'è bisogno di leggi speciali o di incentivi: finanziano dei cortometraggi e lungometraggi d'animazione che vengono acquistati dalla televisione; passano nei cinema, nei festival specializzati... chi c'è stato afferma di vedere file infinite, persone che vanno in campeggio per prendere posto e partecipare a questi festival. Vengono autori da tutto il mondo per presentare quello che è il loro lavoro, a dimostrazione del fatto che è un'industria florida, è un modello diverso, efficiente e che sarebbe anche facile copiare. Non stiamo parlando del Canada, ma della Francia, che è qui vicino: sembra che non siamo capaci nemmeno a copiare. Non capisco se sia una vera ottusità o se è di comodo. Non voglio arrivare a un complottismo, però mi faccio delle domande".
In chiusura, abbiamo parlato anche delle differenze produttive e dell'arrivo al lungometraggio. "Inizialmente passare dal cortometraggio al lungometraggio mi ha creato qualche pensiero, anche tolto un po' di ore di sonno. Poi a mano a mano che gli anni sono passati la paura è diminuita e cresceva, invece, una sorta di fatalismo: farò del mio meglio, se il film va bene sono felice, altrimenti me ne farò una ragione. I miei personaggi non avevano mai parlato, non avevo mai utilizzato i dialoghi, un conto è una narrazione su 8 minuti, un'altra su 90; ero in dubbio sulla storia, perché la storia deve tenere per una durata più lunga, convincere lo spettatore a non andare via. L'animazione classica che è molto rassicurante, con i fondali fissi, non c'è più, adesso vibra tutto. Alcune persone che sono state molto preoccupate per quella che poteva essere la reazione del pubblico: io non ero preoccupato e la critica mi ha premiato, visto che per ora sono andato oltre ogni aspettativa".