Una voglia incredibile di essere a contatto con la gente: "Amo questo lavoro soprattutto perché mi ha permesso di conoscere migliaia di persone", ci ha detto, e di mettersi continuamente alla prova: Luca Ward, attore, doppiatore e direttore del doppiaggio, è da anni una delle voci più amate dagli italiani.
È lui a rendere accessibile al grande pubblico divi di Hollywood come Keanu Reeves, Samuel L. Jackson e Russell Crowe, l'interprete a cui si sente più legato, e non soltanto perché gli ha dato la possibilità di doppiare un film come Il gladiatore (che proprio quest'anno ha compiuto 20 anni), che parla della storia di Roma, la sua città.
Legatissimo alla Capitale, non nasconde, anzi, è molto orgoglioso di essere nato e cresciuto a Ostia, la parte di Roma che si affaccia sul mare: "Ho sempre pensato che chi viene da Ostia abbia una marcia in più: chi viene dalla periferia sa capire persone e situazioni al volo" ha detto a telecamere spente. Abbiamo intervistato Luca Ward negli storici studi Ets Studios, gli stessi dove, tra le altre cose, ha anche diretto il doppiaggio della serie di culto Sons of Anarchy.
La nostra intervista a Luca Ward
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Luca Ward fa tutto: cinema, teatro, televisione, doppiaggio, radio
Luca Ward è uno stacanovista e non ha paura di cimentarsi con media diversi: cinema, teatro, radio, televisione, doppiaggio: quanto è importante essere versatili?
È importante perché intanto ti dà la possibilità di lavorare sempre. Tutti i giorni della tua vita. Non hai mai momenti di fermo: oggi c'è il doppiaggio, domani il teatro, dopodomani la radio. Poi c'è la pubblicità, il cinema, la tv. Salti da una specialità all'altra: questa è una cosa che mi hanno insegnato i grandi vecchi attori, con i quali ho avuto la fortuna di lavorare. Ho lavorato con tutti i giganti della televisione italiana e del cinema, e mi dicevano sempre: devi saper fare tutto. Se sai fare tutto un piatto di minestra lo porti a casa.
Prima di fare l'attore però è stato camionista e venditore: questo le ha dato una marcia in più? Sa interpretare meglio i ruoli perché conosce l'umanità vera?
Non so se aver fatto il camionista, o aver venduto le bibite sugli spalti di Vallelunga, mi fa essere più o meno capace. Certamente mi dà una dimensione diversa: parliamo di lavori veri. Fare il camionista è un lavoro duro, massacrante, una responsabilità. Il nostro invece ci rende fortunati perché giochiamo: giochiamo tutti i giorni della nostra vita. Una volta in teatro, una volta su un set, un'altra in una sala di doppiaggio. Per il fatto del capire l'umanità sì: forse si riesce a comprendere meglio se hai fatto tante cose. Più cose hai fatto nella tua vita e meglio riesci a capire le persone. Anche perché, con i tanti mestieri che ho fatto, ho potuto conoscere migliaia di persone: a me piace confrontarmi, chiacchierare.
Cyberpunk 2077: Luca Ward doppierà il personaggio di Keanu Reeves, Johnny Silverhand
Tra i tanti campi che ha sperimentato c'è anche quello dei videogiochi: ha seguito Keanu Reeves nel mondo di Cyberpunk 2077. Com'è stato?
Non ho capito nulla! Perché i videogiochi si fanno sul nero: questa è una cosa che, per quanto mi riguarda, è sbagliata. Noi siamo interpreti: per interpretare dobbiamo capire, vedere, analizzare. Invece sul videogioco non vedi nulla, per cui vai alla cieca. Spesso quando mi risento nei lavori che ho fatto per i videogiochi, nonostante il pubblico mi passi degli attestati di stima enormi, io trovo che, se l'avessi visto, avrei potuto dare molto di più.
Il doppiaggio: un'arte che richiede i suoi tempi
A proposito di difficoltà: da qualche anno molti suoi colleghi si lamentano del fatto che doppiare sia sempre più difficile. I tempi sono sempre più stretti, spesso non si può nemmeno vedere l'attore intero, ma seguire semplicemente delle labbra con del nero attorno. Come si fa a fare un buon lavoro in questo modo?
Non si fa. A me successe anni fa, con un film: c'era tutto lo schermo nero e si vedevano soltanto, da un buco, le lebbra. Mi sono rifiutato. Dopo due giorni è arrivata una copia in bianco e nero e ho potuto doppiare tranquillamente. Siamo noi che sbagliamo ad accettare certe condizioni: non siamo macchine, il nostro è un lavoro artigianale. L'artigianato si può fare soltanto con tempo, pazienza e conoscenza. Non puoi andare a doppiare un film con uno schermo nero, doppiando le labbra. Non mi rivolgo a chi ci propone queste cose, ma proprio ai miei colleghi: rifiutatevi. Non fate questo scempio. Perché poi, quando vi andate a riascoltare, il vostro lavoro è sicuramente sbagliato.
Oggi social come TikTok permettono a tutti di fare dei doppiaggi di dubbissima qualità: grazie alla tecnologia il doppiaggio è diventato sempre più accessibile, ma anche sempre più in mano a non professionisti. Lei si rifiuta di doppiare insieme a giovani, o colleghi, che non sono adatti?
Il doppiaggio è il mestiere più difficile per un attore. Faccio un esempio di un attore italiano importante: in una sua intervista, Toni Servillo, che è un gigante, ha detto che quando entra in sala di doppiaggio gli tremano le gambe. Detto da lui ci si può credere. Il doppiaggio è un mestiere veramente complesso, difficile, in pochi lo sanno fare. Per quanto riguarda quelli che si improvvisano: è un problema loro. Sarà il mercato a eliminarli. Quindi non me la sento di dire nulla. Io lavoro solo in colonna separata, da sempre, ormai sono più di vent'anni, quindi non incontro mai i miei colleghi. Il nostro è un mestiere che può essere fatto da persone certificate: attori che vengono dal teatro. I doppiatori ci sono, ce ne sono tanti, ma la loro interpretazione sarà sempre la stessa. Mettiamoci anche il fatto che oggi non c'è più il tempo: prima facevo il direttore di doppiaggio e avevo il tempo di dedicarmi a un giovane, cercare di trasmettergli la mia conoscenza del lavoro. Oggi questo tempo non c'è più, quindi non riesco ad aiutare il ragazzo a crescere in questo mondo così difficile. Infatti è il motivo per cui ho smesso di fare il direttore: a me piace anche insegnare, tramandare il mio mestiere, ma oggi si doppia troppo velocemente a scapito del pubblico. Perché è il pubblico che poi ascolta. E, al contrario di quello che pensano molti, il pubblico, soprattutto quello italiano, è scaltro e sa riconoscere un doppiaggio giusto da uno sbagliato. Non sono nati ieri.
Domanda alla Billy Elliott: cosa prova oggi quando entra in sala di doppiaggio? C'è ancora la magia o no?
Ma sì. Intanto c'è la sfida: ogni volta vai a fare un film diverso, ogni volta l'attore che doppi fa un'interpretazione diversa e ti fai il segno della croce. Io faccio tutto: teatro, televisione, cinema, ma il doppiaggio è proprio la sfida vera. Lavori su tempi non tuoi, su una faccia che non è la tua, solo con la voce. Non è semplice. È un mondo che mi piace ancora tanto ed è per questo che lo faccio in trincea, al leggio.
I 20 anni di Il Gladiatore
Quest'anno Il Gladiatore di Ridley Scott ha compiuto venti anni: è ancora tanto affezionato a quel ruolo? Soprattutto visto che è cresciuto a Roma, a Ostia, che viene anche nominata, e nel film si parla anche della nostra storia?
Assolutamente sì: Il Gladiatore ha dato una sorta di consapevolezza, anche ai romani, della potenza di questa città. Che, nonostante siano passati dei secoli ormai dall'Impero, è ancora una città estremamente potente. Però lo dobbiamo capire noi: perché ultimamente ci eravamo un po' persi, ci sentivamo sempre secondi a qualcuno, mentre noi non siamo secondi a nessuno. Noi siamo proprio i numeri uno, il problema è chi ha il timone della nave: perché se il timoniere è un gran timoniere allora l'equipaggio risponde, la nave naviga splendidamente. Ma se il timoniere non sa navigare allora è un problema.
Ha sempre detto di sentire un legame speciale con Russell Crowe: ha doppiato attori magnifici, come Samuel L. Jackson e Kevin Costner, ma Crowe è ancora il suo preferito? E perché?
Russell Crowe: mi piace l'uomo. Perché è un attore non schierato: e questa è la cosa più importante per un attore. Non l'ho mai sentito parlare di politica. Mai. Come Ridley Scott, un altro grande del cinema. Avranno sicuramente le loro idee, ma ho sempre pensato che l'artista debba essere libero, perché l'artista è di tutti. Se ti schieri da una parte inevitabilmente dall'altra non ti potranno vedere. Ci schieriamo, anche Russell Crowe si schiera nel sociale, come faccio anche io, ma politicamente no. Questa è una cosa molto bella per un attore: un attore che va a ritirare un Oscar e non fa una dichiarazione politica, come senti fare a quasi tutti quanti i mostri sacri del cinema americano, francamente ha vinto.
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La sfida in teatro con Full Monty
Visto che ama tanto le sfide: com'è stato fare in teatro il musical Full Monty? In cui, oltre alla voce, stavolta ci ha messo molto corpo? Ha accettato il ruolo anche per questo?
Stavolta ci ho messo anche qualcosa in più! Ho accetto questo ruolo perché il mio personaggio è un ballerino: non professionista, però balla. Siccome ero proprio una schiappa a ballare, sapevo fare solo quelli canonici, il valzer, un po' di tango, il cha cha cha, mi sono detto: fosse la volta buona che imparo a ballare?! Tant'è che a una rappresentazione è venuta mia figlia, che sa perfettamente che sono una schiappa, e, quando mi ha visto, la prima cosa che mi ha detto dopo lo spettacolo è stata: papà, fantastico, balli da Dio! Per me è stato un coronare la mia carriera.
Sons of Anarchy: una serie che è rimasta nel cuore di Luca Ward
Prima di smettere di fare il direttore di doppiaggio, Luca Ward si è occupato di quello di Sons of Anarchy, serie americana di culto, andata in onda dal 2008 al 2014. È un fan?
Sì! Ma questo è inevitabile: intanto Sons of Anarchy è una serie straordinaria. È una serie cult, ha degli attori meravigliosi, delle facce vere. Facce proprio da cinema: quelle che cercava Sergio Leone. Quando guardi i film di Sergio Leone cosa vedi? Le facce. No i bambolotti. La struttura narrativa si rifà a un motoclub famosissimo in America: è un gruppo di motociclisti alternativi alla polizia. La popolazione si rivolge a loro per risolvere problemi. La serie comincia con un caso di pedofilia: il papà di questa bambina che è stata abusata va da loro, perché pensa che tanto la polizia non risolverà il caso. E infatti loro invece lo risolvono. In maniera pesantissima, perché ci vanno giù pesante. È una serie straordinaria. Tra l'altro oggi siamo proprio nel posto, gli Ets Studios, in cui abbiamo doppiato le sei stagioni di Sons of Anarchy. Questo è uno dei templi romani del doppiaggio.
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Essere la voce di Gesù e la rinascita del cinema di genere italiano
Ha parlato di facce, del genere: negli ultimi anni siamo tornati a farlo, infatti le facce sono anche un po' cambiate. Ci dobbiamo credere? Lei ci crede in questa rinascita del cinema di genere italiano?
Bisogna sperare che sia così, perché noi eravamo primi al mondo e siamo diventati gli ultimi. Ci sarà un motivo, no? Qualcosa è stato sbagliato, non ha funzionato. Quando sento dire: il cinema italiano fa i numeri, mi dico ma quali numeri? Ma dove? Siamo al 160esimo posto per vendite all'estero, quindi di che cosa stiamo parlando? Noi gli Oscar ce li andavamo a prendere negli anni '50 e '60, con i grandi produttori, i grandi registi, i grandi attori, i grandi sceneggiatori. Oggi non mi sembra che questo succeda. È molto difficile. Mi auguro che si torni a qualcosa di diverso. Forse con le nuove piattaforme, Netflix, Amazon, si riuscirà a fare un percorso per riportare questo paese al centro. Perché lo merita: i nostri reparti tecnici, i nostri attori, le nostre attrici sono bravi.
Visto che ha fatto e doppiato di tutto, c'è ancora un attore o un personaggio a cui vorrebbe dare la voce?
Bella domanda, non lo so. Forse Gesù. Quando Zeffirelli fece il suo grande film ero troppo piccolo: mi fecero il provino ma ero troppo giovane. Adesso forse sono troppo grande. Quindi questo Gesù mi sa che non si farà.
Potrebbe doppiare San Pietro allora.
Eh però Gesù è Gesù. È tanta roba.