Recensione Nightmare Detective (2006)

Denso di tutti i suoi dogmi, dalla metropoli che schiaccia l'uomo, alla morte come inscindibile elemento di vita, il nuovo film di Tsukamoto approccia la realtà passando per l'onirico, in una singolare miscellanea di psicanalisi e memorie d'infanzia.

Incubi al telefono

Alcuni suicidi commessi in circostanze misteriose sconvolgono Tokyo. Keiko Kirishima è il detective a cui viene affidato il caso.
Tutti gli indizi la condurranno ad una sola, incredibile realtà: "O", un crudele assassino, collegandosi telefonicamente con gli aspiranti suicidi, riesce a penetrarne gli incubi e ad assassinarli per loro stessa mano.
Decisa a fermarlo, chiede l'aiuto di Kyolchi Kagenuma, il "Detective dell'incubo", l'unico in grado di affrontare "O" in sogno ed ucciderlo.
Il giovane rifiuta, tormentato dai contatti soprannaturali che quotidianamente ne sconvolgono l'esistenza. Keiko decide allora di stabilire direttamente un contatto con l'assassino ed affrontarlo, con l'aiuto del suo collega Wakamiya. Quando il piano fallirà e Wakamiya ne rimarrà vittima lasciando Keiko da sola, Kyolchi deciderà di andare in suo aiuto e fermare "O" per sempre.

Apparentemente visionario, l'ultimo film del maestro giapponese Shinya Tsukamoto è una giusta postilla alla sua opera ventennale. Denso di tutti i suoi dogmi, dalla metropoli che schiaccia l'uomo, alla morte come inscindibile elemento di vita, Nightmare Detective approccia la realtà passando per l'onirico, in una singolare miscellanea di psicanalisi e memorie d'infanzia. Messi in scena ricordi e sogni spaventosi, dà voce ad atavici orrori ammantati di modernità. Se lo strumento di morte è il telefono cellulare, come sintesi estrema della civiltà odierna, la chiave d'accesso agli incubi delle vittime è l'inadeguatezza di vivere in un mondo che non lascia spazio all'umanità.
Le vittime giocano con la morte per giustificare la propria esistenza e, quando il dramma si abbatte su di loro, ne sono strumenti irrefrenabili loro malgrado. Esseri privi di una propria solidità morale, facili da plagiare perché desiderosi di uno scopo; quando la voce guida è quella del proprio carnefice, si lasciano possedere come da uno spirito maligno per nutrirlo, vampiro che si ciba di vite altrui.
Il sangue scorre a fiumi sullo schermo; lava e inonda le coscienze dei protagonisti che annaspano in cerca di riscatto e di una resurrezione da una vita alienante che ne deforma le personalità costruendo muri altissimi fra gli uomini, rendendoli sempre più simili a parte di quella città che li opprime. Keiko come Kyolchi e come O, uomini perduti ridotti a solo istinto che diventa incontrollabile appena lasciato libero.

Bravissimo nella rappresentazione visiva di incubi e paure, Tsukamoto personifica lo spirito dei personaggi, lasciandolo duettare con gli stessi in sequenze inquietanti come quella in cui Keiko incontra la sua essenza istintiva che le attraversa la strada come un fantasma rosso.
Colpi di scena ed immagini macabre per affondare la lama sempre più nel dolore della società moderna, fino ad uccidere O e quindi se stesso, annullandone il corpo che affonda in una macchina fumante fatta di lamiere e tubi contorti, in una simbolica conclusione della propria opera filmica che ci riporta alle sue prime, durissime denunce di alienazione in Tetsuo.
L'uomo tanto assoggettato dall'evoluzione, da divenirne parte perdendo l'identità di essere umano e ridursi a mera espressione dei suoi tempi.

Buon film, forse poco originale in un panorama in cui l'incubo è stato inscenato in passato diffusamente dai padri americani come Craven e più recentemente approcciato all'ultima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con l'anime Paprika.