Recensione Il castello errante di Howl (2004)

I bellissimi disegni non sprecano nemmeno un millimetro dello schermo e nascondono le tematiche della vecchiaia, della forza di volontà e della continua lotta tra bene e male.

Incantesimi e magie

Con il suo stile praticamente inconfondibile Hayao Miyazaki porta sullo schermo la fiaba scritta quasi vent'anni fa dall'inglese Diana Wynne Jones e segna l'entrata dell'animazione alla Mostra del cinema di Venezia. E il maestro giapponese lo fa con grande ironia, un'eccezionale cura per il dettaglio e una fantasmagorica carrellata di colori che rapisce l'occhio e il cuore.

La storia è quella della giovane Sophie, che lavora nel negozio di cappelli del suo defunto padre e che durante uno dei rari giri in città incontra il Mago Howl, dotato di incredibili poteri. Ma una strega con un sortilegio la trasforma in una vecchietta. Sophie decide di scappare da casa ed entra per caso nel castello mobile di Howl, un'incredibile costruzione in perenne movimento, diventando la donna delle pulizie e facendosi ben accogliere. Da quel momento inizierà una serie di mirabolanti avventure che la porteranno a liberarsi dall'incantesimo.

I bellissimi disegni non sprecano nemmeno un millimetro dello schermo e nascondono le tematiche della vecchiaia, della forza di volontà e della continua lotta tra bene e male. Sulla vicenda è poi costantemente presente l'ombra della guerra, che fa da sfondo amaro a quasi tutte le vicende, perché proprio il regno di Sophie si arrabatta fra carrarmati, parate ed esibizioni di muscolatura militare.

Divertimento assicurato quindi per lo sguardo curioso dei più piccoli, ma anche temi di riflessione per gli adulti più attenti. Dove Miyazaki finisce però per eccedere è nella lunghezza dell'opera (alcune lungaggini sembrano inutili ai fini della storia e tolgono brio alla narrazione) e nel finale piuttosto ostico da decifrare, fitto com'è di continui colpi di scena tanto da sembrare racchiuso in infinite scatole cinesi.

Movieplayer.it

3.0/5