Recensione La casa sulle nuvole (2008)

La casa sulle nuvole riesce in parte a comunicare quel senso di scoperta e di meraviglia, dovuto a un talento che ama giocare proprio sui contrasti, per cui l'immagine della mongolfiera che si solleva da una duna figura nel film tra le invenzioni visivamente più suggestive.

In tre nel deserto

Quasi ricalcando le orme nella sabbia di Bernardo Bertolucci e Gabriele Salvatores, l'esordiente Claudio Giovannesi si è mosso alla volta del Marocco per realizzare, con questo La casa sulle nuvole, una sorta di road movie, che è anche e soprattutto il ritratto di generazioni italiche spaesate, alla deriva, in cerca di nuovi equilibri interiori e famigliari. Due fratelli di indole assai diversa (nella circostanza Adriano Giannini ed Emanuele Bosi) si ritrovano all'improvviso senza casa, perché un padre allontanatosi dall'Italia anni prima, quel Dario Raggi impersonato con discreto carisma da Emilio Bonucci (attore di formazione teatrale che negli spettacoli di Ronconi ha potuto affinare l'arte, riapparso di recente sul grande schermo grazie a La canarina assassinata), si è tanto disinteressato dei figli da vendere la proprietà senza nemmeno sospettare che costoro ci abitassero ancora. Dallo sgradevole episodio i due colgono però lo spunto per un viaggio a Marrakech che li segnerà profondamente. Marrakech, tappa indispensabile per addentrarsi poi nelle profondità sahariane e nel recupero di un rapporto, quello col padre, assolutamente non facile, rappresenta per il promettente regista un porto franco dove le differenti culture e storie personali si mescolano, s'intrecciano, portando talvolta a decisioni sofferte. Ma nella sua funzione di rifugio, ovvero di fuga dalla (nostra) realtà che l'insofferente Dario ha posto in atto, la città maghrebina conserva una lontana assonanza col mondo di Gabriele Salvatores, con Marrakech Express.

Non vogliamo spingere oltre tale suggestione, evocata in prima istanza dai luoghi delle riprese, perché Giovannesi sembra scegliere sin dall'inizio una prospettiva più intimista, costellando l'itinerario di Michele e Lorenzo, i due fratelli, della serie di incontri necessaria a proiettarli in un'ottica nuova, che permetterà loro di affrontare i propri fantasmi maturando una visione più ampia dei rispettivi problemi esistenziali, nonché di quelli pratici: la perdita dell'abitazione di famiglia, ad esempio, fatta rientrare avventatamente dal padre in un affare balordo, fatalmente destinato all'insuccesso. La casa sulle nuvole solo a tratti, però, riesce a comunicare questo senso di scoperta e di continua riscrittura di sé, appoggiandosi nei momenti migliori a un talento visivo in grado di creare forti contrasti: l'immagine della mongolfiera che si solleva dal bordo di una duna, ovvero la sorpresa offerta da Dario ai figli ancora diffidenti, è senz'altro tra le invenzioni visivamente più efficaci. Così come colpisce in positivo l'impasto camaleontico della colonna sonora composta a quattro mani dallo specialista Enrico Melozzi e dallo stesso regista, che ha alle spalle anche un percorso da musicista. Piuttosto scontato, quindi, che quella musicale sia una componente molto curata, tanto da accompagnare l'evolversi del racconto attraverso tappe accuratamente studiate, con atmosfere jazz che lasciano progressivamente il posto a sonorità etniche, senza tralasciare l'inserimento di brani hip hop locali e di altre chicche da cui il confronto dei protagonisti con la nuova realtà acquista un fascino particolare, in linea coi tempi che cambiano anche in scenari ritenuti esotici.
Se il film non convince fino in fondo lo si deve invece ad alcune incertezze di scrittura, ad alcuni dialoghi ingenui, poco probabili o comunque forzati, che non aiutano un granché nella definizione caratteriale dei personaggi, finendo per rappresentare il classico rovescio della medaglia: laddove il film-maker, che ha all'attivo una produzione di cortometraggi di tutto rispetto, mostra segni dell'acquisita maturità tecnica e stilistica, sul piano del racconto non sembra poi così a suo agio; facendo sì che il suo primo lungometraggio mostri quei limiti di tenuta per cui, almeno nei segmenti meno interessanti, la narrazione diviene un po' sfilacciata. Sono tutto sommato stonature accettabili in un'opera prima. Quanto di promettente e di curioso il film propone lascia pertanto pronosticare una crescita interessante, per questo regista ancora molto giovane.