Recensione Crossing Over (2009)

A riscattare il film di Wayne Kramer ci pensano le tematiche indubbiamente interessanti, lo sguardo critico e stimolante rivolto all'apparato burocratico americano e la riflessione su come, anche in questo frangente, siano le donne a soffrire di più, oltre ad alcune performance attoriali.

In the Land of the Free

Il confine tra Stati Uniti e Messico, con le lunghe file e i serrati controlli in una direzione e l'agile passaggio dei turisti americani nell'altra, è una delle immagini più eloquenti di questo Crossing Over e occupa un posto di rilievo nell'immaginario stelle e strisce. In realtà, la pellicola di Wayne Kramer chiama in causa molte altre linee di confine morali e culturali nella sua ambizione di descrivere le condizioni, i rischi, le speranze e le frustrazioni di quelle genti che, giungendo da ogni parte del mondo, sperano di trovare una nuova casa nella la terra delle opportunità. Harrison Ford è Max Brogan, ufficiale della migra che prende a cuore il caso di una giovane donna (Alice Braga) rispedita in Messico e separata dal figlioletto, e ha un partner, Hamid, iraniano recentemente naturalizzato americano, il quale da parte sua deve affrontare il problema di una sorella dai comportamenti sessuali inaccettabili per la famiglia.
Ashley Judd, invece, è una consulente per l'immigrazione (sposata a un bieco Ray Liotta, funzionario che si occupa della concessione dei permessi di soggiorno) che desidera adottare una bambina rinchiusa in un centro di controllo e che segue il caso di una quindicenne di origine mediorientale denunciata dal preside della sua scuola per aver espresso in un tema "simpatia nei confronti degli attentatori dell'11/9" e conseguentemente arrestata e deportata. Ci fermiamo per ragioni di spazio ma le storyline non si esauriscono qui, e si intersecano su uno sfondo di una Los Angeles fotografata in modo molto simile a quella di Paul Haggis in Crash - contatto fisico.

Con il film di Haggis premio Oscar nel 2006, Crossing Over condivide anche qualche difetto: l'abbondanza di cliché, la forzatura di alcune scelte drammatiche e l'incapacità di mantenere il melodramma nei limiti della credibilità. Non è facile per nessuno, d'altro canto, orchestrare un quadro narrativo così articolato imprimendo il giusto passo e dando spessore a innumerevoli situazioni e personaggi: in questo caso, purtroppo, il tutto risulta farragginoso, maldestro e frammentario, anche a causa di una sceneggiatura che soltanto a tratti raggiunge autentica profondità. A riscattare, almeno in parte, la pellicola, ci pensano le tematiche indubbiamente interessanti, lo sguardo critico e stimolante rivolto all'apparato burocratico americano e la riflessione su come, anche in questo frangente, siano le donne a soffrire di più, oltre ad alcune performance, anche se non quelle delle tre star. Particolarmente incisivo risulta Cliff Curtis, impegnato in una delle scene più intense, sebbene non esattamente verosimili, del film, e soprattutto la deliziosa Summer Bishil, eccellente protagonista di quella che forse è l'unica storyline veramente toccante del film di Kramer.

Movieplayer.it

2.0/5