Il vuoto nell'ostello
Hostel: Part II procede in maniera parallela e speculare rispetto al film che l'ha preceduto. Stessa identica dinamica ma cambiata di segno: lì un gruppo di ragazzi in cerca di sesso facile, qui tre amiche con ambizioni diverse e la voglia di rilassarsi nella spa decantata dall'accalappiavittime di turno; lì la problematica ermeneutica e comunicativa che assume un ruolo di primissimo piano nella sua impossibilità, qui la comunicazione ostentata e possibile, per quanto ugualmente vuota di significato; lì una violenza secca e radicale ma sempre funzionale ai ragionamenti soggiacenti il film, qui inserita sporadicamente, meno invasiva ma sempre, invariabilmente gratuita. Differenti sono invece i riferimenti cinematografici messi in campo da Eli Roth: se Hostel partiva come una teen comedy e proseguiva con toni riconducibili ai classici horror della Universal prima di sprofondare nel gore più estremo, in questo sequel tutta la costruzione della storia è evidentemente e dichiaratamente figlia della volontà di omaggiare (malamente, ahinoi, con scene, dialoghi e graffiti da gricciori...) la grande tradizione del cinema di genere nostrano.
Differenze formali a parte, è nella sostanza che Hostel 2 si stacca nettamente dal primo. O meglio, nell'assoluta assenza di una qualsiasi sostanza. Programmatico (nonché sciocco) nella messa in scena e nell'incedere narrativo, Hostel 2 è più che didascalico nella rappresentazione dei simboli e dei temi che ambisce a trattare. Con l'aggravante che il trattato è assai ovvio. Se a livello immediato Hostel poteva risultare gradevole per gli appassionati considerato l'altissimo fattore di nudi femminili parziali o totali e di emoglobina, era principalmente nelle sue idee e tesi di fondo che - nonostante alcune ambiguità - il film risultava convincente, anche per via del rigore della sua radicalità che da espositiva si faceva tematica; Hostel 2 si e ci nega invece sia il piacere superficiale e perverso dell'occhio (il sangue è banale e superfluo, di sesso nemmeno a parlarne...) sia qualsiasi ragionamento contenutistico che non sia banale e stagnante: come se non ci avesse pensato mai nessuno prima di lui, a 35 anni Eli Roth si permette di arringare pedantemente il suo pubblico sulla pervasività del capitalismo, sulla (im)possibilità di sfuggire alla corruzione se non abbracciandola. Senza poi contare i sociologismi di bassa lega, i personaggi la cui vera natura è l'opposto di quella che appare e via dicendo.
L'impressione è che forse i buoni risultati ottenuti da Roth con le sue precedenti regie siano perlomeno parzialmente figli di un'inconsapevolezza figlia dell'incoscienza, e che in questo caso il giovane americano abbia voluto da un lato giocare a fare il Quentin Tarantino senza averne lo spessore concettuale e cinematografico, dall'altro si sia sentito voce critica, erede della grande tradizione dell'horror politico americano. Resta la speranza di attribuire alla fretta e alla voglia di cavalcare un onda a tutti i costi il fallimento di Hostel 2, e di veder tornare Eli Roth a dire qualcosa di interessante con film diversi e più maturi.