Il tesoro interiore di Charlie
Il cinema indipendente americano e la famiglia disfunzionale. Un connubio tematico indissolubile e dai risultati altalenanti, dove a far la differenza è sempre la freschezza e la sincerità dello sguardo o qualche prova attoriale particolarmente convincente, in un contesto magari scontato, ma umanamente contagioso. Come in questo Alla scoperta di Charlie, diretto da Mike Cahill e prodotto da Alexander Payne; film che non aggiunge molto all'infinito campionario di famiglie americane disastrate e alla ricerca di un nuovo equilibrio affettivo, ma che sa toccare le corde giuste con semplicità e mestiere.
Miranda ha solo sedici anni, ma è già praticamente un'adulta a causa dell' abbandono dalla madre e dell'insanità mentale del padre. Costretta a lasciare la scuola e a lavorare duramente come impiegata a un McDonald, si troverà costretta a gestire il ritorno a casa del padre Charlie, che porrà immediatamente fine alla sua esistenza relativamente tranquilla. Charlie ha infatti una nuova ossessione: è convinto che il tesoro scomparso dell'esploratore spagnolo Padre Juan Florismarte Garces sia sepolto da qualche parte, nei pressi del comprensorio dove vivono, in una zona periferica della California. Numerose ricerche lo convincono che l'oro sia sepolto sotto il megastore Costco del loro quartiere e nonostante la follia del progetto, riuscirà a coinvolgere la figlia, inizialmente riluttante, e un suo vecchio amico, in un avventuroso scavo notturno.
E' la produzione di Alexander Payne, più che la regia, affidata a un diligente esordiente, a fornire al film quella tipica impronta da indie-mainstream. Un ossimoro che ha la piena legittimità nel cinema del regista di Sideways e A proposito di Schimt, da sempre intento a coniugare una sensibilità indie per i percorsi biografici liminali con un'impronta stilistica sobria e mediamente tradizionale. Ma se l'elogio dell'anticonformismo e dell'irresponsabilità come vie per la scoperta di sé stessi e della libertà, in Alla scoperta di Charlie a volte si dimostrano temi spuntati o comunque di maniera, è dal rapporto tra i personaggi che emergono le cose migliori. Fim che indugia in facili empatie ma che si nutre della freschezza espressiva di Evan Rachel Wood e del carisma e della bravura di un Michael Douglas che lavora poco e bene e invecchia molto meglio di suoi più nobili colleghi, che si fa fatica a immaginare credibili con una tuta da sub indosso, mentre sguazza alla ricerca dell'oro nelle putride acque sotterranee di un negozio.