Il seme della violenza
Eastern Promises è il film di un gigante. C'è ben poco da opinare in proposito, ma ribadirlo non è affatto pleonastico. Soprattutto è la dimostrazione che esiste ancora la possibilità di seguire un percorso autoriale chiarissimo e non per questo non al passo coi tempi. Se poi a qualcuno il cinema di David Cronenberg degli ultimi film può sembrare alimentato da un desiderio di allontanamento dai temi e dalle ossessioni che gli sono proprie, in direzione di un presunto ammorbidimento mainstream, probabilmente gli sfugge la portata della mutazione in atto nell'opera del regista canadese. Perché di differenze tra i suoi classici del passato e la nuova produzione ce ne sono eccome (e per fortuna) ma il percorso intrapreso mostra una coerenza e un intransigenza che mette davvero i brividi.
La promessa dell'assassino torna, dopo A History of Violence, a raccontare la tragica prossimità del male. Che non lo vediamo ma ci circonda e ci costringe a farci i conti, senza preavviso. Può essere un passato sopito che torna prepotentemente e mette a repentaglio il focolare domestico o sempre la storia di una famiglia, questa volta russa, che dissimula la sua aderenza alla mafia nella trasparenza di un ristorante russo, nei pressi del centro di Londra. Ma il male è sempre lì, con le sue regole, i suoi rituali e i suoi simboli, financo la sua intimità. Che è quella che si crea, volente o nolente, tra l'autista tirapiedi Nikolai (un Viggo Mortensen praticamente perfetto) e l'infermiera Anna Khitrova (un'intensa Naomi Watts) anche lei di origine russa. Perché anche nelle secche più aride c'è la possibilità per un ritorno ai sentimenti basilari, tra i tentativi di Anna di risalire, tramite un diario in russo, ai parenti di una ragazza che muore di parto per affidargli il neonato e le motivazioni di Nikolai a una scalata di potere nel sistema verticale della mafia russa. Un barlume che contagia persino Kirill (Vincent Cassel) inetto e violento, ma incapace di compiere l'omicidio di un neonato solo per apparire adeguato agli occhi del padre Semyon.
Senza intellettualismi o metafore il regista canadese sbalordisce per la densità e l'asciuttezza con cui ci racconta questo dramma costruito su inquadrature statiche dall'enorme peso specifico e da una classicità chirurgica del montaggio che gli fornisce una forza insormontabile. E mentre il cinema d'azione americano, oltrepassata la saturazione va verso la definitiva sovrabbondanza formale - che si fa discorso teorico nell'ultimo The Bourne Ultimatum - Il ritorno dello sciacallo di Greengrass - Cronenberg gira nel 2007 una scena di violenza inaudita in una sauna, che entra sotto pelle - e nell'immaginario cinematografico - perchè mostra tutto il mostrabile con una frontalità assoluta. Provare per credere.