Recensione Quell'estate felice (2007)

E' un racconto composto, scavato nei canoni di una narrazione classica e una messa in scena retro, con una ricostruzione storica che sa restituire il sapore di un'epoca ormai lontana.

Il sapore dolceamaro della memoria

Quello del film di Beppe Cino è un titolo ingannatore. E' infatti ben poca la felicità della stagione di una vita che il vecchio protagonista cava fuori dai ricordi. Nella sua memoria si è sedimentata come Quell'estate felice, quando in realtà è soprattutto la sofferenza, l'impotenza di fronte ai muri invalicabili che ergono gli esseri umani feriti e l'incapacità di cogliere l'attimo, di afferrare un sogno, a distinguere un periodo che ha segnato un'intera esistenza. Il cinema lo celebra con amorevolezza, come ultimo omaggio a chi sta ormai morendo e ha bisogno del calore dei ricordi per andare in pace. Angelo Amato si trova a piangere in una sala cinematografica, di fronte a uno schermo sul quale vengono proiettate figure, passioni e balli del suo passato. E su esso scorre anche il lento incedere di Maria Venera, oggetto del desiderio che le circostanze hanno tenuto distante.

Messo da parte il realismo magico di Miracolo a Palermo, il regista siciliano s'affida al potere della rievocazione. Mette in scena la Sicilia degli anni Cinquanta e la ammanta di una dolce amarezza, rivelandone un cambiamento che ha coinvolto soprattutto i caratteri di chi la abitava. La guerra dei sessi per una volta inverte i ruoli: lei sceglie chi amare, da chi farsi possedere, lui resta lì in adorazione, rubando i suoi sospiri e la sensualità delle sue gambe lunghe. E' un racconto composto, scavato nei canoni di una narrazione classica e una messa in scena retro, con una ricostruzione storica che sa restituire il sapore di un'epoca ormai lontana. Il 'cinema di paese' non può sfuggire a una rappresentazione più o meno folkloristica di personaggi e situazioni, ma fatto con sincerità, come in questo caso, riesce anche a non essere troppo indulgente con essi.

La nostalgia del tempo del boogie-woogie si confronta con eventi che prevedono anche la tragedia di un aborto fatto in condizioni limite. Il regista li usa per fare della sua protagonista femminile, interpretata da Olivia Magnani, un simbolo della donna siciliana, fiera e determinata, indipendente fino a far tacere il cuore per scegliersi un futuro decoroso. Beppe Cino è un regista di grande intelligenza, oltre che di grande cultura, e sa quindi dosare al meglio i toni, si lascia andare a uno sguardo tenero nei confronti della sua terra senza mai cadere nel patetico e invita alla sua tavola tante piccole figure che insieme forniscono un'immagine un po' naif, ma autentica della sua terra. Facendo a pugni con l'oblio, il film soffre di alcune lungaggini di troppo deputate solo a pennellare, e di una pesantezza generale che fa arenare il racconto nella noia. La recitazione di Olivia Magnani è ancora legnosa, lontana dalla carnalità che caratterizzava sua nonna Anna. Il suo personaggio dovrebbe rivelare una raggiunta indipendenza della femmina siciliana, ma ad uscire fuori è solo la sua rigidità antipatica. Gli attori più attempati se la cavano meglio, ma non bastano da soli a salvare il film dal tedio.