Il ruggito del dodicesimo Far East Film Festival

Una guida introduttiva per orientarsi nell'articolato panorama di proposte del dodicesimo Far East Film Festival di Udine, la più importante manifestazione in Occidente dedita alla divulgazione del cinema d'Estremo oriente. A farla da padrone sono quest'anno soprattutto Cina e Hong Kong, mentre la sezione retrospettiva addirittura si duplica, con focus dedicati alla casa giapponese Shintoho e all'ispiratore della New Wave hongkonghese Patrick Lung Kong.

Giunto al suo dodicesimo anno di attività (che in realtà sarebbe il tredicesimo, considerando anche un'edizione "numero zero" interamente dedicata a Hong Kong), il Far East Film Festival di Udine è più vivo che mai e lotta ancora insieme a noi per diffondere in Italia e in Occidente un'ampia fetta di mondo cinematografico, quello estremo orientale, facendosi portabandiera di nuove visioni estetiche e culturali, spesso spiazzanti e trasgressive. Nonostante la risicatezza delle risorse finanziarie, vista la crisi economica e il taglio di fondi da parte degli enti pubblici, il festival presieduto da Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche e organizzato del Centro Espressioni Cinematografiche di Udine non demorde, stringe i denti e affila i suoi artigli, riuscendo a trasformare le sue limitazioni in pregi. Come la proverbiale fenice, si rigenera anno dopo anno, sapendosi elasticamente adattare ai mutamenti cinematografici e socio-politici del magmatico e vitalissimo Oriente. Il Far East Festival ha saputo spostare il proprio baricentro oltre le più consolidate e tradizionali cinematografie di Hong Kong, Giappone e Taiwan; dispiegando lo sguardo in territori per certi versi ancora incontaminati come Indonesia, Malesia, Vietnam, Filippine e Tailandia. Ma la novità più significativa delle ultime stagioni è senza dubbio la massiccia espansione dell'imponente macchina produttiva della Repubblica Popolare Cinese che, ormai entrata a tutti gli effetti nelle logiche del libero mercato commerciale e imprenditoriale, sarà senza dubbio l'inarrestabile protagonista degli anni a venire, in grado di insidiare persino le roccaforti di Hollywood e Bollywood.

Il ruggito del dragone cinese è confermato, almeno sulla carta, dal cartellone di questa dodicesima edizione, che decide di affidare significativamente l'apertura a una commedia romantica virata al femminile, Sophie's Revenge, diretta dalla giovane regista sino-americana Eva Jin, che non ha niente da invidiare a quelle hollywoodiane quanto a stile, qualità della realizzazione tecnica e strategie di marketing. Il film è stato un gigantesco hit commerciale in patria per via della presenza delle due principali stelle del firmamento cinese: Zhang Ziyi (anche produttrice), per la prima volta alle prese con un ruolo brillante, e Fan Bing-Bing. Sono ben lontani gli anni della Rivoluzione culturale, in cui l'unico imperativo era educare il popolo con una risicata cerchia di produzioni di propaganda, rigidamente sottoposte al vaglio della censura (nel periodo di maggior stretta ideologica furono consentite addirittura solo "otto opere modello"). Ormai l'ideologia sembra piuttosto piegarsi al diktat del mercato globale, e anche le magniloquenti opere di celebrazione patriottica si sono trasformate in faraonici blockbuster, in grado di ammaliare il pubblico per la prodezza degli effetti speciali e per la partecipazione di divi panasiatici.

È il caso del fluviale kolossal The Founding Of A Republic, che celebra il sessantesimo anniversario della fondazione del Partito comunista cinese glorificando le gesta di Mao Zedong. Opera "collettiva", solcata dalla presenza di tutto il gotha artistico cinese e hongkonghese (Jackie Chan, Jet Li, Andy Lau, Zhao Wei, Chen Kaige, John Woo, eccetera), che simbolicamente appare in svariati cammeo. Ma in genere la produzione della Repubblica popolare tende ormai a fondere in maniera sincretica l'istanza ideologica (ormai sempre più un residuo formale e retorico) con le esigenze spettacolari dei generi: il thriller spionistico The Message, ambientato durante il conflitto sino-giapponese; la rievocazione storica del massacro di Nanchino del rigoroso e lirico capolavoro City Of Life And Death; il thriller politico Invisible Killer, il wuxia sospeso e poetico Wheat, solo per citare alcuni dei titoli in programma.

E il cinema di Hong Kong? Scansate oramai le più infauste aspettative dopo l'unificazione con la Cina che presagivano l'evaporazione dell'industria cinematografica dell'isola, conglomerata per attrazione con quella del Continente, Hong Kong si dimostra ancora un polo febbrile che lotta con tutte le forze per mantenere la propria specificità culturale. Nonostante le maestranze tecniche e artistiche hongkonghesi siano sempre più cooptate entro i confini della Repubblica popolare e la tendenza dominante sia quella di impiantare gigantesche joint venture per un pubblico internazionale, la produzione locale dimostra di volersi tenere stretta l'eredità del passato e di non rinunciare alle coordinate identitarie del proprio cinema. Non è un caso che il festival vero e proprio sarà preceduto dalla presenza del nume tutelare Johnnie To, oggi forse l'ultimo emblema del cinema di Hong Kong "vecchia scuola", giunto in Italia per presentare il suo Vendicami in uscita nei cinema. E non è neppure un caso che il secondo titolo ad aprire la dodicesima edizione del festival sia l'anteprima mondiale di Dream Home, l'ultima fatica di PANG Ho-cheung, da sempre uno dei più coccolati ospiti della kermesse udinese. Ibrido e spiazzante come tutte le opere del regista, Dream Home è al tempo stesso un ferocissimo slasher, una cinica satira sociale, e un simpatetico omaggio alla multiforme metropoli di Hong Kong. Il film si segnala anche per la serrata colonna sonora di Gabriele Roberto, talentuoso compositore italiano che è riuscito a imporsi in Oriente (Leggi l'intervista in esclusiva di Movieplayer.it).

Gettando uno sguardo più dettagliato al programma, si può notare come la rappresentanza hongkonghese sia forte di ben dieci titoli, che dispiegano la storica varietà di generi dell'isola. Dal ricercato thriller Fire Of Conscience di Dante Lam (per cui i critici non hanno lesinato accostamenti addirittura con nomi del calibro di John Woo e Michael Mann); all'action storico Bodyguards And Assassins, incentrato sul tentato assassinio di Sun Yat-sen e interpretato tra gli altri da Donnie Yen, Tony Leung Ka-fai e Simon Yam; fino al nuovo thriller di Danny Pang Seven 2 One. Imprescindibile è ovviamente il cinema di kung fu, incarnato al festival dal tradizionalista Ip Man 2, secondo tassello dell'affresco storico ed elegiaco di Wilson Yip (i fan sono già in trepidante attesa per assistere allo storico combattimento tra Donnie Yen e Sammo Hung); dalla commedia epica Little Big Soldier con Jackie Chan e dalla rievocazione nostalgica dei gloriosi studi Shaw Brothers al centro di Gallants.

Minori segnali di mutamento - a giudicare almeno da una preventiva lettura del programma - sembrano provenire dalle altre due storiche cinematografie d'Estremo Oriente: il Giappone, ormai rigidamente ancorato a un sistema produttivo in cui dominano le grosse conglomerate televisive e dove c'è poco spazio per sperimentazioni e innovazioni indipendenti, e la Corea del Sud, che pare ancora dover regolare i conti con gli strascichi della crisi economica, nonostante la produzione nazionale sia di nuovo tornata a riempire i botteghini. E saranno proprio alcuni dei blockbuster di maggior successo della passata stagione sudcoreana a essere proposti al pubblico udinese, tra cui il catastrofico Haeundae, incentrato su un mega-tsunami, che ha superato il record di dieci milioni di biglietti venduti divenendo il caso dell'anno; la commedia fantasy WOOCHI, definito una sorta di Harry Potter in salsa coreana perché ha per protagonista un apprendista stregone taoista che viaggia nel tempo fino ai nostri giorni, e Secret Reunion, il nuovo atteso film con Song Kang-ho che racconta della solidarietà nata tra un'ex spia della Corea del Nord e una del Sud. La compagine nipponica si segnala invece per alcuni titoli curiosi e fuori dagli schemi, come Golden Slumber, thriller cospirativo del fedelissimo di Udine Yoshihiro Nakamura; la satira di costume Wig che segna il debutto cinematografico di un duo comico molto acclamato nella tv giapponese, e l'ultima stramberia di Sakichi Sato, sceneggiatore di Ichi the Killer e regista del grottesco Tokyo Zombie, questa volta alle prese nientemeno che con un investigatore che parla con gli insetti in The Bugs Detective.
Interessanti sorprese poi potrebbero giungere da alcune cinematografie considerate a torto come minori, dal gangster movie taiwanese Monga, al kung fu movie vietnamita Clash; dagli horror tailandesi Phobia 2 e Slice, all'inedita svolta "autoriale" del regista filippino Erik Matti con The Arrival, fino ai nuovi lavori degli autori indonesiani Riri Riza e Upi, già ospiti della passata edizione.

Questo excursus sul corposo e articolato programma del Far East Film Festival (72 sono i titoli complessivi) non sarebbe completo se non si facesse almeno un accenno a un'altra attività che ha da sempre contraddistinto la manifestazione udinese come un centro d'eccellenza: il recupero del passato attraverso esaurienti retrospettive sui tesori sepolti del cinema popolare asiatico. Quest'anno addirittura la sezione retrospettiva si duplica. Un primo evento è dedicato alla (ri)scoperta della Shintoho, compagnia nipponica nata nel 1947 dai transfughi della casa madre Toho, funestata in quel periodo da scioperi e proteste sindacali. Pur essendo rimasta in attività per un periodo relativamente breve (chiuse per fallimento nel 1961 dopo aver prodotto l'ultimo capolavoro di Nobuo Nakagawa, Jigoku) fu una delle sei grandi major del periodo d'oro del cinema Giapponese, specializzandosi soprattutto in prodotti di genere come gli horror classici di Nobuo Nakagawa, l'exploitation erotica di Teruo Ishii e la fantascienza supereroistica della serie Super Giant, sempre diretta da Ishii. La selezione udinese si focalizza sui titoli meno conosciuti, molti dei quali inediti per il pubblico occidentale. Prosegue anche l'opera di analisi del movimento della New Wave di Hong Kong con un focus su uno dei cineasti ispiratori del gruppo, Patrick Lung Kong, cui perfino l'Hong Kong Film Archieve ha tributato un riconoscimento solo di recente. Cineasta eclettico, come tutti i grandi autori del cinema honkonghese ha saputo coniugare differenti poetiche e istanze, passando dalla denuncia sociale dei suoi ritratti di dropout alle seminali sperimentazioni nel genere action, che hanno posto le basi perfino per l'estetica di John Woo.

Le ristrettezze di budget non sembrano dunque aver scalfito in apparenza la qualità delle proposte. Il Far East Film Festival è pronto anche quest'anno per tornare a ruggire!