Una triste coincidenza accomuna Francesco Munzi a Dino Risi. Stamattina, infatti, alla Casa del cinema di Roma, nel verde di Villa Borghese, il primo presentava alla stampa il suo nuovo film reduce dal Festival di Cannes, mentre il secondo veniva commemorato da colleghi, personalità note e persone comuni in visita alla camera ardente allestita dopo la proiezione de Il resto della notte di Munzi. Tanta la folla che si è radunata all'esterno della struttura, per portare l'ultimo saluto al grande maestro della commedia all'italiana, e inevitabile che la conferenza stampa di presentazione di un film destinato a far discutere si aprisse con un pensiero dedicato all'autore di quel capolavoro che è Il sorpasso. "Ho sempre considerato Dini Risi una sorta di regista immortale -- ha dichiarato Francesco Munzi prima di rispondere alle domande dei giornalisti sul suo film - ma è evidente che anche le persone che sembrano immortali prima o poi muoiono e se ne vanno. Non ci resta che andare avanti e superare questo dolore che adesso ci devasta."
Reduce dal buon successo di critica ottenuto a Cannes, arriva quindi nelle nostre sale anche l'ultimo film della troupe italiana presente alla recente kermesse francese. Il resto della notte racconta di borghesi annoiati e disgraziati rumeni (ma anche italiani) che provano la carta della rapina in villa per uscire dalla propria miseria. Inevitabile la tragedia che accomuna tutte le persone coinvolte in questa che può essere considerata una vicenda-tipo dei casi di cronaca presenti sempre più spesso sulle prime pagine dei nostri giornali, fonte di una vera e propria fobia dello straniero, e del rumeno in particolare. Prevenendo le polemiche di carattere politico, il regista assicura che le sue intenzioni nel realizzare il film non erano certo quelle di dare ragione a una parte o all'altra, ma provare a offrire un argomento di discussione al pubblico per metterlo in condizione di crearsi da solo una propria interpretazione della situazione. Per evitare l'uscita nel giorno della partita tra Italia e Romania agli Europei di Austria e Svizzera, 01 distribuisce il film da mercoledì 11 giugno in 60 copie, sperando che l'effetto Cannes non sia andato esaurito con il successo di Gomorra e de Il divo.
Francesco Munzi, lei chiude il film con un finale tragico in cui non si salva nessuno. Cosa voleva comunicare con questa scelta?
Francesco Munzi: Non considero Il resto della notte un film a tesi e nel finale non ci vedo nessuna metafora, perché la mia intenzione non era quella di democratizzare la morte. Quasi tutti i proprietari di ville sono armati, si vive in uno stato d'assedio, e armati sono anche i rapinatori e spesso tutto ciò non può portare che alla tragedia. Col mio film non mi interessava giustificare una parte o l'altra, volevo lasciare lo spettatore libero di fare il proprio viaggio, ma nello stesso tempo volevo che la tragedia e il dolore accomunasse tutte le famiglie. Nessuno ne esce illeso, né i rapinatori, né le vittime.
Il suo film esce in un momento in cui la questione sicurezza è tra i problemi principali del nostro paese. Ha paura che il film possa essere strumentalizzato a fini politici?
Quando ho scritto il film non si parlava ancora di questione rumena, poi ho cominciato a fare il film e si è improvvisamente alzato un polverone, a dire il vero ingiustificato, che ha portato ad un accanimento contro gli immigrati rumeni nel nostro paese, partendo da singoli episodi di criminalità. Col mio film intendevo spiazzare sia la destra che la sinistra, perché mi interessava restituire attraverso questi personaggi la complessità della realtà che la politica tende a semplificare troppo, volevo mettere lo spettatore in condizione di elaborare una propria interpretazione.
Il film però non è certo tenero nei confronti dei rumeni.
Sono preoccupato che il mio possa essere considerato un film che giudica i rumeni. Io volevo partire da un fatto di cronaca, in questo caso una rapina in villa, per parlare di persone ai margini che sbagliano. Avevo bisogno di tematizzare il racconto e quindi parlo di una percentuale piccolissima rispetto al totale degli immigrati presenti oggi in Italia, che io considero una fondamentale risorsa culturale per il nostro paese. Nel mio film parlo delle zone d'ombra di questa immigrazione, perché penso sia giusto cominciare a parlare degli stranieri non come numeri o con un atteggiamento per forza pietistico. Ho scelto di raccontare una parte che sbaglia, che ripeto è minima rispetto alla gente onesta che arriva da quei posti per vivere in Italia. Certo è che l'integrazione è difficile e che lo sfruttamento esiste ed è una piaga.
Ci sono un prima e un dopo possibili riguardo ai protagonisti del suo film?
Nei miei film cerco di dare delle suggestioni, di dare rotondità ai personaggi con pochi tratti e per me è superfluo stare a parlare di prima e dopo. Probabilmente tutti i personaggi resteranno chiusi nelle loro posizioni, ad eccezione del ragazzino rumeno di cui sposo il punto di vista nell'ultima parte del film, entrando nella sua sofferenza. Egli è l'unico che mi sembra veramente cambiato dal precipitare degli eventi perché attraverso il dolore prende coscienza: alla fine del film sarà cresciuto, diventando migliore.
In questo film lei non è certo tenero con le donne. Perché?
La donna borghese che racconto è una borghese nevrotica e so quanto è pericoloso al cinema questo tipo di personaggio. Avrò visto cinquanta e più ville per documentarmi sul film e sono quasi sempre stato accolto da signore, perché i mariti erano a lavoro. Ho avuto suggestioni sul campo che mi hanno fatto costruire il personaggio in quel modo, al quale ho cercato di dare ulteriori sfumature. Delle donne mi piace anche raccontare la fragilità, l'umanità e la sofferenza. Penso che le donne possano essere un filtro più sensibile al reale. C'è poi una donna più sfaccettata come quella rumena che ha una storia più faticosa alle spalle e ha perciò sviluppato una corazza, riscattando le altre a livello di forza.
Perché ha scelto come titolo del suo film Il resto della notte?
Nel titolo si cerca di dare una suggestione. In questo caso, parlo di una notte precisa che è quella della rapina in una villa, ma parlo anche di una notte italiana, quella in cui sembra essere caduto il nostro paese. Il resto della notte è tutto quello che gli eventi lasciano.
Come sceglie le location per i suoi film?
La mia preoccupazione è evitare il naturalismo, che è una cosa diversa dal realismo. Il realismo dev'essere forte e comunicare qualcosa e io cerco sempre, in un'immagine, di restituire non solo l'ambientazione, ma anche il sentimento del film. C'è una semplificazione d'immagini e nello stesso tempo una grande forza.
Ultimamente assistiamo a una riscoperta della realtà nel cinema italiano. Cosa ne pensa lei?
In questi giorni non si fa che parlare, anche troppo a mio avviso, di questa fantomatica riscoperta. Il fatto è che ci sono stati bravi registi giovani completamente ignorati o quasi che ora raccolgono i frutti del loro lavoro. La novità è legata essenzialmente ai due film italiani presenti a Cannes, Gomorra e Il divo, ma mi ci metto dentro anch'io, insieme al film di Marco Tullio Giordana. L'impegno però non è nato con questi film che hanno però saputo associare un discorso sulla realtà con un'innovazione del linguaggio e del fare cinema. Il film di Matteo Garrone e quello di Paolo Sorrentino hanno avuto il grande merito di trovare spazio sui media e al botteghino. Un film come Gomorra nessuno l'avrebbe visto due anni fa, ma grazie alla stampa e al gran parlare che se n'è fatto tutti sono andati a vederlo. Non è vero quindi che i progetti che scavano in profondità sono contro il pubblico.