La cosa che più mi ha colpito è stato vedere degli attori che non avevano mai toccato una spada in vita loro, trasformarsi, nel giro di poche settimane, in guerrieri.
"In quasi tutti i film c'è un elemento tecnico chiave: Il primo re non avrebbe potuto essere fatto senza gli stuntmen." A raccontarcelo è un amico e lettore di Movieplayer, il giovane stuntman Simón Rizzoni, che ci ha fatto conoscere il lavoro della EA Stunt e ci ha aiutato a dare il via all'esplorazione in cui state per seguirci, alla scoperta del formidabile contributo del reparto stunt al film di Matteo Rovere che ha debuttato nelle sale giovedì.
Ci racconta Simón, che ha partecipato al boot camp di preparazione con i sedici membri del cast principale de Il primo re, inclusi Alessandro Borghi e Alessio Lapice: "La cosa che più mi ha colpito è stato vedere degli attori che non avevano mai toccato una spada in vita loro trasformarsi, nel giro di poche settimane, in guerrieri, attraverso la fase addestrativa. Mi ha impressionato vedere allievi di prestigiose scuole di recitazione e workshop, attori nemmeno impressionanti nel fisico - Rovere li voleva così, uomini normali del 700 a. C. - tirar fuori la rabbia guerriera. Prima cominci con il coltello, poi col gladio, poi passi allo scudo, al martello, all'ascia, a seconda delle armi che Rovere scegliava per i vari personaggi, e per gradi arriva la crescita, in attori già tecnicamente preparati, di quella componente ultrafisica che li ha trasformati nella soldataglia violenta richiesta dal realismo e dalla crudezza del film." Tremate, questa è Roma.
Nell'arena degli stuntmen
Per scoprire qualcosa di più sul contributo degli stunt alla riuscita dell'ambizioso progetto di Matteo Rovere - di cui abbiamo parlato nella nostra recensione de Il primo rerecensione de Il primo re - siamo dunque andati in missione speciale presso lo studio/palestra di EA Stunt, attrezzatissimo e affollato di pareti scalabili, tappeti elastici, corde, materassi e supporti vari per darsene di santa ragione (ma in tutta sicurezza). Tra volteggi, assalti all'arma bianca e capriole, il coordinatore dello studio, Emiliano Novelli, ci trasmette benissimo la complessità e la caratura professionale del suo lavoro: "L'idea che ha il pubblico dello stunt è un po' lo steretipo dello scavezzacollo, ed è vero che è un lavoro rischioso ma per farlo a livello professionale ci vuole più testa e preparazione. Devi conoscere bene gli elementi con cui lavori, quelli con cui si trova a interagire uno stunt: il fuoco, l'acqua, gli animali, le armi; e poi naturalmente automobili, moto, treni. Anche in prospettiva storica, in questo periodo stiamo facendo molti film storici ed è importante essere documentati sul periodo storico che devi raccontare: le armi, le tecniche, gli usi, i costumi."
Il paradosso dello stunt, naturalmente, è che tutti questi sforzi rimangono nell'ombra. "L'obiettivo è la performance dell'attore che controfiguri. Purtroppo è così, che siano i registi o gli attori, i meriti alla fine se li prendono gli altri." Nel caso de Il primo re - e non solo del film di Matteo Rovere, naturalmente - ci sembra invece giusto sottolineare la centralità del lavoro di Emiliano e dei suoi collaboratori: il realismo primitivo della messa in scena, la brutalità delle scene di battaglia, erano alla base dell'ambizioso progetto del regista romano, che ha lavorato a stretto contatto con Novelli e il suo studio sin dalle prime fasi della concezione e della scrittura del film.
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Tra atletismo e preparazione, la sfida dell'autenticità
"Questo film racconta noi, i nostri avi, la nostra storia. Ci siamo sentiti profondamente coinvolti, quasi fossimo in guerra tutti insieme, noi, gli attori, la produzione: abbiamo davvero fatto squadra", racconta, giustamente orgoglioso, Emiliano, che ci spiega anche come la preparazione e la ricerca dei collaboratori adatti sia iniziata nel momento stesso in cui Rovere cominciava a mettere in piedi il progetto. "Matteo, con cui avevamo lavorato già per Veloce come il vento, mi ha parlato della sua intenzione di fare Il primo re, e spesso è stato qui da noi anche durante la scrittura nell'arco di diversi mesi: abbiamo lavorato a una prima versione delle coreografie man mano che scriveva il film. Una volta sgrezzato e perfezionato il tutto, sono stati scelti gli attori e con loro abbiamo fatto un boot camp di due mesi, due mesi e mezzo, con i sedici attori principali e tutti gli stunt che avrebbero partecipato alle riprese del film. Erano qui tutti i giorni, mattina e pomeriggio, e ognuno lavorava alle proprie coreografie, parallelamente a una preparazione fisica che variava a seconda delle esigenze: Alessandro Borghi, ad esempio, si doveva asciugare, e tra l'altro subito dopo Il primo re si è preparato per girare il film su Stefano Cucchi, Sulla mia pelle, quindi l'inizio della sua trasformazione fisica è partito da molto lontano."
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La differenza sostanziale, rispetto al lavoro "consueto" sulle coreografie di duelli e combattimenti, stava nell'abbandono della pulizia e della spettacolarizzazione in nome di quel crudo realismo che abbiamo visto sullo schermo. Novelli sottolinea l'importanza di una lunga e accurata preparazione, che riflette, d'altronde, l'approccio "filologico" in altri elementi del film, come quello linguistico: "È un approccio che non abbiamo visto spesso in Italia, l'approccio giusto, perché se fai quindici giorni di preparazione invece che due mesi sul set lo vedi ai primi colpi di spada. La bravura e l'intelligenza di un regista come Rovere, qui come in Veloce come il vento, la vedi nell'oculatezza nel gestire le risorse. Un film come questo, realizzato da un altro modo, sarebbe costato il triplo."
"Settimane di lavoro sulle coreografie con attori e stunt - conclude Emiliano - hanno fortificato l'intesa, la sinergia tra tutti noi: alla fine conoscevamo i passi, come in un balletto, e allo stesso tempo avevamo costruito la base delle performance. Alla fine della preparazione erano tutti prontissimi a scendere in campo, allenati e famelici, e così quando si è battuto il primo ciak... si è scatenato l'inferno!"