C'è evidentemente un interesse particolare da parte della regista statunitense Hallie Meyers-Shyer riguardo lo svisceramento delle tematiche legate all'età. Se infatti nella sua prima opera, 40 sono i nuovi 20, nel quale adottava il punto di vista femminile quando ha a che fare con il bisogno di una reinvenzione, questa vola, con Il padre dell'anno, prova una sortita dall'altra parte della barricata.

Michael Keaton è il centro di gravità permanente di una pellicola in cui sembra togliersi finalmente i panni (o i costumi) altrui per lasciarsi andare ad un ruolo che sprizza autenticità. Il lavoro che fa la regista con lui è ottimo, proprio perché i due riescono a dar vita ad un personaggio che riesce ad andare oltre a quella che ha spesso l'apparenza della solita dramedy su un uomo di mezza età.
Sebbene infatti la pellicola peschi a pieni mani quel tipo di cinema statunitense da consumazione domestica, beneficia di un substrato che permette delle sortite politiche interessanti, come quelle riguardanti una ricollocazione della figura maschile non scontata in un genere che non sempre è stato in grado di affrontarlo a 360 gradi.
A sessant'anni che cosa può succederci?

A sessant'anni, in teoria, una persona avrebbe pure il diritto di rintanarsi in una comfort zone senza da crisi d'identità o sorprese varie ed eventuali. È infatti lecito presumere, che a quell'età ci si conosca abbastanza bene da prevenire le crisi. Una fase della vita, insomma, in cui si può sperare di rimanere al riparo dalle intemperie.
Questo è anche il caso di Andy Goodrich (Michael Keaton), uno che per tutta la vita ha fatto il mercante d'arte di una galleria di successo e soprattutto ha fatto di tutto per essere solo quello. A discapito del suo matrimonio e di sua figlia Grace (Mila Kunis), ora adulta e prossima a diventare mamma, ma anche dei gemelli avuti dalla seconda moglie. Poi squilla il telefono e tutto cambia.

La compagna di Andy ha deciso di andare in rehab per curare la sua dipendenza da medicinali e la telefonata con cui lo raggiunge per comunicarglielo contiene anche il messaggio che dopo il processo di recupero non tornerà più da lui. Un evento catalizzante, che apre il vaso di pandora su tutte le sofferenze nascoste dentro casa, le ferite disseminate nel corso del tempo e sul vero aspetto di una galleria d'arte ormai in stato di abbandono. Può Andy dire di riconoscere la vita che gli si prospetta davanti ora?
Il padre dell'anno: una dramedy con un buona riflessione di fondo

L'innesco de Il padre dell'anno è piuttosto classico: un uomo che, come colto da un fulmine, si ritrova improvvisamente a dover ricominciare tutto da capo a sessant'anni suonati, scoprendo che tante cose non le ha mai veramente iniziate. Per esempio non ha mai iniziato a fare il padre oppure non ha mai iniziato a mettersi sul serio in gioco nel suo lavoro.
Basandosi solamente su questa traccia, il film avrebbe potuto vivere la vita di una commedia dimenticabile con qualche buona sequenza piazzata qua e là, accontentandosi di un'esistenza tra ironia e dramma e appoggiandosi ad un Michael Keaton protagonista più che ispirato. Cosa che in parte avviene, non fraintendeteci, ci sono infatti tutti i passaggi chiave. Ciò che c'è di veramente interessante sta nelle increspature che ogni tanto il titolo di Meyers-Shyer concede, soprattutto, nella sua seconda parte.

Il padre dell'anno contiene una curata riflessione sulla capacità della figura maschile di riposizionarsi all'interno di un contesto familiare e su come questo si possa ottenere solamente attraverso un'attenta e spietata valutazione di se stessi. Sono presenti delle ottime sequenze che si soffermano su questo aspetto, superando per importanza quelle, molto più scontate e didascaliche, che si occupano di mandare avanti una trama ridotta, dopo un po', a poco più di un pretesto. Questo fa del titolo una dramedy per tutta la famiglia, ma anche con un pizzico di materia grigia in più, per chi ha voglia di rifletterci un po'.
Conclusioni
Hallie Meyers-Shyer torna alla regia con Il padre dell'anno, una dramedy equilibrata e dall'impianto classico sulle necessità di reinventarsi quando si è ormai agée. Il titolo beneficia di un Michael Keaton ispirato e genuino e della capacità di andare oltre il more of the same da fruizione domestica grazie a delle riflessioni curate sul maschile all'interno della relazioni famigliari.
Perché ci piace
- La prova di Michael Keaton.
- L'equilibrio dei toni.
- Le riflessioni sul maschile.
Cosa non va
- Per il resto la pellicola è piuttosto scontata e inoffensiva.