Esattamente cento anni fa, era il 21 gennaio del 1921, a New York venne presentato quello che all'epoca risultava un evento imperdibile poiché segnava l'esordio alla regia in un lungometraggio del genio della comicità di nome Charles Spencer Chaplin. Il monello è un film che non si dimentica. Uno dei lavori più divertenti, e al contempo commoventi, della carriera del cineasta che con il suo alter ego goffo ma dal cuore d'oro aveva già fatto innamorare di sé milioni di spettatori. Della durata di circa un'ora, il film è un concentrato di perizia cinematografica, un lavoro in cui l'ossessione registica di Charlie Chaplin e la sua testardaggine nel curare al meglio ogni singolo dettaglio sono restituite da un andamento ritmato, agile e sempre incalzante. Si respira una naturalezza rara guardando Il monello, frutto di un impegno certosino mirato a ricreare in scena un'alchimia praticamente perfetta tra un adulto e un bambino, un padre (adottivo) e un figlio (orfano).
UN LUTTO AUTOBIOGRAFICO
Il film viene ancora oggi ricordato come uno dei più riusciti e profondi ritratti sull'infanzia mai realizzati. Chaplin sicuramente era un genio ossessionato dalla perfezione, ma il duro lavoro non basta a "giustificare" gli esiti davvero eccellenti raggiunti dalla pellicola. In effetti, il regista era stato spinto a raccontare quel tipo di storia con un simile tatto per via di un triste avvenimento personale che precedette l'inizio della lavorazione. Sposato all'epoca con Mildred Harris, il regista aveva infatti da poco perso il suo primo figlio, Norman Spencer. Nato con diversi problemi di salute, il piccolo non visse che soli tre giorni procurando comprensibilmente un vuoto incolmabile nei suoi genitori. Così, Chaplin si sentì particolarmente ispirato e pronto per raccontare una storia di amore paterno in cui non solo si devono fare i conti con le difficoltà di un'esistenza non propriamente agiata, ma soprattutto si deve lottare per affermare il proprio ruolo di genitore.
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TALE MADRE, TALE FIGLIO
Il monello infatti racconta la storia di un vagabondo, l'iconico Charlot, che accidentalmente si ritrova ad accudire e crescere un neonato abbandonato. All'inizio riluttante all'idea, l'uomo si prenderà cura del bambino instaurando con lui un legame affettivo molto forte. Passati cinque anni da quel primo incontro, i due ormai fanno coppia fissa nella vita e "sul lavoro". Il vagabondo infatti istruisce il bambino per aiutarlo in alcuni furti ed espedienti che gli consentono di arrivare a fine giornata, non patendo così più del dovuto la povertà che in qualche modo li condanna. Tutto cambia però quando la madre del ragazzo, diventata nel frattempo una celebre cantante lirica, si pente del suo gesto e si mette sulle tracce del figlio. Ora, questo spunto di trama è sufficiente non solo per mettere in luce l'idea di un lungometraggio finalizzato a raccontare la gioia di crescere un figlio (mancata all'epoca per Chaplin), ma anche per affrontare il tema dell'abbandono. Se del primo argomento abbiamo già parlato (i collaboratori di Chaplin raccontano sul set che, forse perché sconvolto dal recente lutto, il regista si comportava con il piccolo Jackie Coogan proprio come se fosse suo padre), è doveroso anche ricordare che nella vita di Chaplin vi è stato spazio anche per la ferita dell'abbandono materno. Probabilmente infatti, il ricordo della turbolenta infanzia e della separazione da parte dei suoi genitori può aver spinto emotivamente il regista a dare il miglio di sé in queste sequenze e a immedesimarsi nel piccolo trovatello in balia degli eventi.
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TALENTI IN ERBA
Il monello fu anche l'occasione per il piccolo Jackie Coogan di mettersi in mostra come una sorta di enfant prodige della recitazione. Il talento dell'attore, che all'epoca aveva solamente sette anni, fu reso manifesto a tutto il mondo che di lì a poco divenne affamato di altri ruoli. Immediatamente dopo il successo del film infatti, Coogan recitò in numerose altre pellicole tra cui svetta Oliviero Twist di Frank Lloyd. Chaplin si imbatté nel giovanissimo attore durante uno spettacolo in scena all'Orpheum Theatre di Los Angeles. Il giorno seguente alla sua performance, gli venne in mente il soggetto de Il monello e immediatamente scritturò il bambino con il quale sul set ebbe un ottimo rapporto. La carriera di Coogan iniziò quindi nel migliore dei modi anche se, probabilmente, bisognerà aspettare solamente gli anni Sessanta per bissare un simile successo quando, per la televisione, interpretò il celebre zio Fester della famiglia Addams.
THRILLER EDITING
Tuttavia, l'aneddoto più interessante e al contempo assurdo della lavorazione di questo film è legato senza dubbio alle fasi di montaggio. Durante la lunga produzione, il matrimonio tra Chaplin e la moglie Mildred Harris giunse al capolinea. Una volta terminate le riprese, per la postproduzione Chaplin e il team di montatori dovettero letteralmente darsi alla macchia. Il timore del regista era infatti quello che il girato potesse venire confiscato dalle autorità, insieme ad altri beni di proprietà del regista, per via della causa di divorzio mossa dalla moglie. Così, Chaplin terminò il montaggio in fuga da una città all'altra, in stanze di albergo improvvisate o uffici poco popolati che gli permettevano l'anonimato nonostante fosse uno dei volti più celebri della scena comica mondiale. Addirittura Roland Totheroh, uno dei collaboratori del regista, racconta di quando una coppia di presunti italiani gli offrirono 30 mila dollari in cambio dei negativi perché erano venuti a sapere su quale film stavano lavorando. Insomma, la tensione era palpabile e l'attesa che si era creata nei confronti di questo film restituisce adeguatamente l'idea di quanto il pubblico avesse fame di un primo lungometraggio diretto da Charlie Chaplin.
UN FILM SPARTIACQUE
In effetti Il monello non deluse le aspettative. Il pubblicò apprezzò molto il film che ben presto divenne un punto di non ritorno nella carriera del regista. Dopo circa dieci anni di incessante lavoro Chaplin aveva quasi "abbandonato" lo Charlot originale: il suo alter ego era stato al centro di innumerevoli avventure nei panni di gentiluomini, ubriaconi, ribelli, sopravvissuti, soldati, operai, sognatori... Con Il monello, Chaplin torna a lavorare sul concetto primario della sua maschera comica, un vagabondo senza nome dotato di un cuore d'oro ma lasciato comunque ai margini di una società cinica e severa. Un piccolo passo indietro che apre le porte a un nuovo, incredibile, avvenire cinematografico che di lì a poco solcherà in maniera indelebile la Storia del cinema.