Recensione Vegas: Based on a True Story (2008)

Naderi gira in un digitale povero con una fotografia che tende alla sottrazione, spegnendo i colori e affidandosi alla luce naturale, per scavare un solco profondo attorno ai protagonisti.

Il miraggio nel giardino

Amir Naderi sogna di fare un film sulla Luna. Nel frattempo prosegue nella sua personale esplorazione dell'uomo, connessa nel nuovo Vegas: Based on a True Story con il suo rapporto con la terra, con le dinamiche che ne regolano le relazioni intime coi suoi simili, e col concetto di casa. Iraniano, ma da vent'anni residente negli Stati Uniti, Naderi mette insieme stralci di storie vere e amare considerazioni dei rovinati dal gioco d'azzardo a Las Vegas e li traduce nel suo brillante cinema sperimentale che trova terra e anima nella periferia della città simbolo del Nevada. Al centro della storia una famiglia di operai, formata da padre, madre e figlio, che resta vittima di un'ossessione instillata dall'arrivo improvviso di un presunto marine che bussa alla loro porta con una tentazione impossibile da scacciare: nel giardino della loro casa sembra essere sepolto un tesoro che potrebbe cambiare le loro vite. Nella capitale del gioco d'azzardo è facile restare intrappolati nel circolo vizioso delle scommesse, anche chi ha scelto di smettere col gioco dopo il fallimento che li ha confinati ai margini, non rinuncia alla speranza del colpo di fortuna che possa arricchire. Una volta messo in moto il congegno demolitore, impossibile tirarsi fuori.

Naderi gira in un digitale povero con una fotografia che tende alla sottrazione, spegnendo i colori e affidandosi alla luce naturale, per scavare un solco profondo attorno ai protagonisti. Affascinante è l'analisi del territorio che compie il regista. Le mille luci al neon della ricca Las Vegas dei casino restano costantemente sullo sfondo, mentre l'aridità della periferia desertica entra prepotentemente nello schermo. Si tratta di un ambiente condannato alla miseria, mentre la ricchezza rimane sulla linea dell'orizzonte, un miraggio a portata di mano eppure irraggiungibile. La relativa tranquillità della famiglia viene demolita poco a poco dalle possibilità che sembrano celarsi sotto i propri piedi. La terra diventa carbone ardente che ossessiona con l'illusione di una facile fortuna che promette di cambiare la vita, ma è destinata in realtà soltanto a distruggere. Con la pala che entra per la prima volta nella terra, si da il via a un meccanismo di autodistruzione impossibile da arrestare. Prima il padre, supportato dal figlio, si lascia invadere da questa ansia di trovare il fantomatico tesoro, poi anche la madre, tenacemente aggrappata alla ragione, cede infine alle sirene dei dubbi dorati.

L'orgoglio della donna è una piccola serra nel giardino in cui coltiva grossi pomodori rossi, la cui distruzione a opera del marito ormai abbandonato dalla lucidità, determina la morte definitiva del loro rapporto e dell'idea di famiglia, sgretolata da un sogno spietato. A toccare particolarmente è però il legame che tiene il figlio accanto al padre: il ragazzo cerca disperatamente di restare vicino a un padre che sta sprofondando in un'ossessione distruttrice, che demolisce le poche certezze in una vita di stenti. L'entusiasmo del ragazzo deve scontrarsi con la razionalità di una madre i cui presentimenti vengono scambiati per ottuse prese di posizione. I miracoli non esistono, la donna lo sa bene, ma le basta una piccola prova, ritrovata nella Verità di un giornale, per restare vittima della stessa ossessione che sta accecando il marito. Quando tutto finirà in macerie, la donna sceglierà la via dell'abbandono, mentre il ragazzo sarà il solo a cercare di tirar fuori il padre dalla profonda buca che si è scavato e in cui è rimasto intrappolato.

Naderi si concede con Vegas un'opera che propone una narrazione più compiuta rispetto ai precedenti lavori, ma anche in questo tornano il tema di una ricerca ossessiva e simbolica e la ripetizione esasperata di gesti precisi dall'effetto straniante. I protagonisti del film si affannano in un continuo scavare nella terra, ma togliendosela da sotto i piedi finiscono per affondare sempre di più. L'umiliazione della casa e le macerie del finale alzano un grosso polverone: ci si sente ricoperti da questa terra, che si attacca alla pelle, entra nel naso e nella bocca e soffoca. Un grande film che è destinato a restare addosso.