Recensione Essential Killing (2010)

Il polacco 'Essential Killing' è un profondo e toccante dramma esistenziale, l'atroce viaggio di un uomo, l'intenso Vincent Gallo, che sprofonda nel nulla mentre si sforza di sopravvivere a costo di perdere la propria umanità.

Il male di sopravvivere

Acciuffato dai soldati americani in ricognizione in una zona desertica dell'Afghanistan, Mohammed viene torturato e portato in un centro di detenzione segreto della CIA in Europa. Durante il tragitto la camionetta che trasporta lui e gli altri prigionieri subisce un incidente e l'uomo riesce a scappare dalle forze armate. Inizia così la sua estenuante fuga per la sopravvivenza, perseguita attraverso una dura lotta contro la morte ai limiti della resistenza umana in una foresta innevata e sconfinata della Polonia, tra una fame disumanizzante, il gelo mortale e i soldati che gli danno la caccia.

Diretto dal regista polacco Jerzy Skolimowski Essential Killing è un dramma esistenziale d'inaudita violenza psicologica, l'atroce viaggio di un uomo, le cui colpe non sono accertate, che anziché subire il feroce e mortale destino di un sospettato di terrorismo, si ritrova a sfuggire ai suoi predatori e a dare sfogo a una bestialità necessaria alla propria sopravvivenza. La sua corsa, tra onirici flashback e fantasie di un futuro in cui vorrebbe riabbracciare moglie e figlio, è un precipizio oscuro che legittima gli istinti, nutrendosi d'insetti e di bacche, uccidendo chi trova lungo il suo cammino e assalendo una madre che allatta il bambino per prenderle il latte. Lo sguardo spaventato e disorientato dell'inizio si accende progressivamente di una potente forza di vivere per poi spegnersi lentamente in una struggente disperazione che tocca profondamente lo spettatore.
Se Essential Killing è un'opera in cui la struttura narrativa è ridotta a una traccia minimalista, come lo stesso titolo suggerisce e come il riduzionismo estremo dei dialoghi conferma, è la sua componente paesaggistica a tramare la storia scavando in profondità nella psicologia del protagonista senza inutili sentimentalismi. L'immagine di apertura del film rappresenta infatti una particolare angolazione sul terribile percorso di formazione di Mohammed, un Vincent Gallo calzante e intenso, che ricorda nella fisicità e nello sviluppo tematico, il Viggo Mortensen del post-apocalittico The Road, con la splendida ripresa aerea che prende distanza dagli eventi e consegna al pubblico la storia, compatta e scarnificata, svuotata di orpelli narrativi e visivi. Allo stesso modo è significativo il passaggio dalla prima parte del film, ambientata nell'assolato deserto afgano, alla seconda, stringata nei meandri abissali della foresta quasi lunare dell'Europa, che rappresenta, attraverso la geometria pura delle immagini in perfetta sintonia con uno stridio musicale assordante, l'angosciante declino del protagonista e l'inquietante via crucis che ci attanagliano nello straziante e alienante bagliore del bianco cristallizzato, che domina lo schermo fino alla fine.