Recensione La casa (1981)

Doveva essere solo un altro horror low-budget, pensato principalmente per un pubblico di teenagers: inaspettatamente, invece, l'esordio alla regia di Sam Raimi si rivelò un grande successo, e divenne in breve un vero cult-movie.

Il luna park dell'orrore

L'esordio alla regia di Sam Raimi, datato 1981, non avrebbe potuto essere più fulminante; il regista, insieme agli amici Bruce Campbell (protagonista) e Robert Tapert (produttore) riesce a portare sullo schermo un'idea che covava già da diversi anni, e che era già stata parzialmente sviluppata nel precedente cortometraggio Within the woods (1978). Doveva trattarsi di un semplice horror low-budget, pensato principalmente per il pubblico di teenagers che affollava, in quel periodo, le proiezioni dei drive-in: un film che doveva rappresentare, per il suo autore, il passaporto più agevole per l'ingresso nel mondo del cinema, e una risposta ai b-movie horror che lo stesso Raimi, nella sua adolescenza, aveva più volte avuto modo di vedere proprio nelle proiezioni notturne dei drive-in ("Vedendo quei film", ha dichiarato recentemente il regista, "pensai che avrei potuto fare sicuramente di meglio"). Invece, contro ogni previsione, La Casa andò incontro a un successo planetario, totalmente insperato: presentato per la prima volta a Cannes, il film guadagnò in breve l'ammirazione di schiere di fans, vinse diversi premi in festival specializzati, e il suo autore fu immediatamente eletto a nuovo maestro di quel genere horror-splatter che, dalla fine degli anni 70, stava rivoluzionando l'estetica del cinema della paura.

Un successo al di fuori di ogni previsione, quindi, ma di cui, vedendo oggi il film, non si faticano a capire le ragioni: la perizia tecnica di Raimi, la sua padronanza nella regia, e il suo sfrenato gusto per l'eccesso trapelano da ogni inquadratura del film, e fanno distaccare nettamente la pellicola dai tanti prodotti analoghi usciti in quel periodo. Partendo da un canovaccio di genere molto semplice, addirittura banale nel suo spunto iniziale, Raimi da vita a un vero e proprio luna park dell'orrore, una sfrenata corsa sulle montagne russe che riserva spaventi, urli e stupore ad ogni svolta. Si diverte, il regista, in questo film, e si vede chiaramente: si diverte a spaventare lo spettatore con il classico "salto sulla sedia", prevedibile e tuttavia inevitabile, e si diverte poi a calcare la mano sul pedale del gore, con una sfrontatezza e un'eccessività che fanno sconfinare, sovente, il tutto nel grottesco. E' questa la "cifra" stilistica che caratterizza tutto il film: tensione, spavento e voluta esorcizzazione delle prime due componenti attraverso l'esagerazione grottesca. Una formula che si ripresenterà nel sequel-remake, datato 1987, ma che sarà ulteriormente contaminata da un'estetica da cartoon, da un voluto effetto comico e dissacratorio che già faceva intuire un'evoluzione nella poetica dell'autore.

Raimi, in ogni caso, qui riesce già a piegare i pochi mezzi che ha a disposizione alla sua sfrenata fantasia visionaria: sono diventate ormai celebri le soggettive con la shakey-cam, una sorta di rudimentale steadycam costruita dallo stesso regista, con la quale vengono ripresi in soggettiva gli inseguimenti delle malvage entità ai danni dei terrorizzati protagonisti, all'interno del cottage e fuori, nei minacciosi boschi circostanti. E, a ulteriore dimostrazione dell'ottimo livello tecnico della pellicola, non si può non citare l'efficacissimo montaggio, teso da una parte a dilatare i momenti di tensione (con dettagli su oggetti all'interno della casa, alternati a primissimi piani sui volti dei protagonisti), e dall'altra a rendere ancora più forte l'effetto-shock nei momenti in cui questo è previsto. Un'ottima fotografia, volutamente accesa e "pop" nei toni, e un uso degli effetti di make-up che riesce a non far sentire affatto l'esiguità del budget, completano nel migliore dei modi un film che assolve perfettamente al compito che gli era stato richiesto: spaventare e stupire.

Dopo il sequel di questo film (in cui, come detto, si intravedeva già una voglia di uscire dalla formula "orrore + gore grottesco" presente qui), Raimi cercherà altre strade, coerentemente con la sua onnivora passione cinefila e la sua voglia di non restare imprigionato nei confini di un singolo genere. Resta che, nonostante gli sforzi, in gran parte coronati da successo, del regista, un buon numero di spettatori e di "fans" (termine, in questo caso, più che mai appropriato) continuano ad identificare Raimi con il geniale cineasta che ha voluto, e realizzato dal nulla, la saga di Evil Dead; e resta anche il fatto che gran parte degli elementi del cinema di Raimi a venire (l'eccessività, gli ubriacanti movimenti di macchina, la continua e inarrestabile voglia di stupire), erano ben presenti qui, seppur all'interno di una collaudata struttura di genere; struttura alla quale, tuttavia, tali elementi si adeguavano alla perfezione. Un esordio travolgente quanto personale, quindi, per quello che si può definire, a ragione e a tutti gli effetti, un cineasta a tutto tondo.

Movieplayer.it

4.0/5