Recensione Sulla mia pelle (2003)

Partendo dal controverso tema della semilibertà carceraria, il regista Valerio Jalongo dirige un melodramma a sfondo sociale, che offre una serie di considerazioni sulla libertà in genere, e sulla capacità dell'individuo di usufruirne.

Il gusto amaro della libertà

Tony, in carcere da anni, ha finalmente ottenuto la semilibertà. L'uomo esce dalla prigione durante le ore diurne per andare a lavorare al caseificio Cimarosa, secondo il programma di trattamento firmato dal giudice di sorveglianza; si tratta, nonostante la possibilità di uscire dall'istituto penitenziario, di un regime rigido, che impone orari da cui non si può derogare, e che non prevede giorni di riposo. Tony, preparatosi a questa sua nuova vita con i migliori propositi, si renderà presto conto che la semilibertà è ben diversa da come l'aveva immaginata, e che gli stessi proprietari del caseificio sono tutt'altro che "liberi", dovendo affrontare la costante minaccia della criminalità organizzata.

Girato nel 2002, e uscito solo oggi a causa dei cambiamenti intercorsi nella legge sui finanziamenti al cinema italiano, questo Sulla mia pelle è un melodramma a sfondo sociale, che parte dal controverso tema della semilibertà carceraria per giungere a una serie di considerazioni sulla libertà in genere e sulla capacità dell'individuo di usufruirne al meglio. E' un momento lungamente agognato, per il protagonista, quello dell'uscita dalle mura carcerarie, agognato al punto che egli si irrita con l'agente di sorveglianza per un ritardo di appena dieci minuti nell'uscita; ma il sapore della libertà durerà poco, quando Tony si renderà conto delle rigide regole del regime a cui è sottoposto, delle ragioni meramente economiche (leggasi: costo ridotto) che hanno guidato i suoi datori di lavoro nella sua assunzione, e soprattutto dell'indebitamento dell'azienda in cui lavora, su cui grava costantemente l'ombra della camorra. Tony vuole riconquistare la libertà piena, è uno scopo a cui dedica tutto sé stesso, ma a che costo questo può avvenire? Sono davvero liberi i due proprietari del caseificio, Bianca e Alfonso, minacciati tutti i giorni dai camorristi? E' davvero libero l'agente di sorveglianza del carcere, anch'egli costretto a sottostare a regole non scritte, che contemplano anche la violenza, per mantenere il suo posto? Non sarà facile, per Tony, rimettere insieme i pezzi della propria vita, dimostrarsi "recuperato" all'interno di un contesto che sembra già allo sbando, quanto e più di lui. La via della "redenzione" sarà tutt'altro che semplice da percorrere.

Regista finora dedito soprattutto ai documentari e alla televisione (il suo esordio nel lungometraggio fu, nel 1997, la coproduzione italo/irlandese Messaggi quasi segreti), Valerio Jalongo sceglie un taglio di regia che sottolinea da una parte l'estrema, quasi incontenibile voglia di libertà del protagonista, dall'altra la durezza, la crudeltà e le umiliazioni della vita di chi sta dietro le sbarre, ma anche di chi ha scelto di legare il suo destino alla criminalità organizzata. Il film insiste così su esterni ariosi, spazi sconfinati che ben rappresentano la gioia del protagonista di ritrovarsi al di fuori delle mura carcerarie (si veda la prima, liberatoria corsa di Tony nella pausa pranzo del lavoro, o il viaggio in furgone in cui il protagonista si sporge per "assaporare" l'aria aperta), alternati ai dettagli della vita carceraria, all'umiliazione della rimozione dei vestiti per i controlli, alle brutali perquisizioni delle celle, alla disposizione da parte degli agenti di quegli oggetti personali (più volte ripresi in dettaglio) che rappresentano la libertà di ogni detenuto, data e sottratta ogni giorno. La sceneggiatura (a cui ha partecipato, tra gli altri, lo scrittore Diego Da Silva) sceglie un tono da melodramma per narrare le vicende di Tony, dei suoi compagni di cella e dei suoi datori di lavoro: il protagonista, sempre più emotivamente coinvolto dalle angherie subite dai titolari dell'azienda, finirà per impelagarsi in una difficile storia d'amore con Bianca, e farà di tutto per "liberare", a modo suo, il caseificio dalle maglie della camorra. Ma il suo "idealismo" non potrà che scontrarsi con una realtà nella quale la libertà piena è un miraggio, fuori e dentro le sbarre.

L'attore francese Ivan Franek offre un convincente ritratto di Tony, nonostante la necessità del doppiaggio: il suo volto, alternativamente duro, confuso e percorso da momenti d'incontrollata ira, è perfetto per rappresentare i contrastanti sentimenti che attraversano l'animo del protagonista. Altrettanto convincenti risultano Vincenzo Peluso e Donatella Finocchiaro, rispettivamente nei ruoli (altrettanto difficili e necessitanti diversi registri di recitazione) di Alfonso e Bianca, mentre una menzione va fatta anche a Stefano Cassetti e al compianto Mario Scarpetta, compagni di cella del protagonista, entrambi fragili e capaci di generare empatia nello spettatore. Le ottime musiche (curate da Paolo Buonvino) donano ulteriore vigore e forza espressiva ad un film che riesce ad essere "di denuncia", e caratterizzato da un notevole impegno civile, rinunciando ad offrire soluzioni facili, ed evitando, soprattutto, di cadere nella trappola del didascalismo. Un impegno che non rinuncia ai mezzi spettacolari del cinema popolare per veicolare il suo messaggio, ma anzi li fa suoi e ne trae vigore. Un risultato sicuramente apprezzabile.

Movieplayer.it

3.0/5