Recensione 2046 (2004)

Si conclude l'odissea produttiva del nuovo film di Wong Kar-wai, che durante la sua lunghissima gestazione si è poco alla volta liberato dalla sua dipendenza con il precedente 'In the mood for love' per conquistare una dignità propria.

Il futuro e la memoria

Si conclude l'odissea produttiva del nuovo film di Wong Kar-wai, che finalmente approda nelle sale italiane nella sua edizione completa, dopo la sua prematura presentazione al Festival di Cannes in una versione mancante di alcune rifiniture, tra cui le sequenze in computer grafica.

Sebbene lo stesso autore dichiari che il film presentato a Cannes fosse idealmente identico a quello che esce ora nelle sale italiane, è indubbio che lo stesso regista avrebbe continuato ancora adesso a rifinire sempre di più il lavoro se le esigenze distributive non gli avessero portato via il film: è infatti palese l'estrema, maniacale, cura che l'autore ha dedicato a 2046 e il suo desiderio di renderlo un film perfetto in ogni suo aspetto.

In gestazione già al termine della lavorazione di In the mood for love, nei cinque lunghi anni che ha impiegato a prendere forma, si è gradualmente allontanato dal suo stato di seguito di quest'ultimo, per diventarne una sorta di progetto speculare, una derivazione autonoma e complessa.

Fotografato con la solita impeccabile maestria da Christopher Doyle, il film si nutre di colori caldi e vivi, e supera la delicata sensualità di In the Mood for Love, sfociando in un più esplicito erotismo, sfaldato dalla disperazione del protagonista che lo rende incapace di dedicarsi ad una storia d'amore duratura.
Wong Kar-wai riprende la scena come un morboso osservatore, sempre seminascosto da figure in primo piano che celano parte dell'inquadratura o nascondendosi in giochi di specchi, usando oggetti materiali (chiavi, vestiti...) come punto di riferimento per guidare lo spettatore tra i complessi livelli di realtà della sua storia e nel labirinto visivo che costruisce, costantemente in equilibrio tra la realtà degli anni 60 e il mondo immaginario del protagonista.

In questo universo di impalpabile sofferenza, le tre attrici principali, Zhang Ziyi, Gong Li e Faye Wong, si muovono perfettamente a proprio agio, incarnando diversi esempi di femminilità e orbitando intorno alla grande assente del film: Maggie Cheung. Infatti, il legame dichiarato con In the Mood for Love è sì nel protagonista, lo stesso scrittore interpretato da un magnifico Tony Leung Chiu Wai, e nel titolo, che richiama la stanza in cui lui e la sua amante si rifugiavano per scrivere, ma a voler essere maggiormente analitici, il vero punto di contatto tra i due film, il fulcro intorno a cui ruotano, è proprio l'amante, qui assente, dello scrittore, quella intensa Maggie Cheung di In the mood for love che qui fa solo una doverosa e folgorante apparizione.

Tutti i personaggi femminili di 2046, infatti, non fanno che sottolineare ed enfatizzare la sua mancanza, rendendola una protagonista in abstentia.
E' lei, oltre che se stesso, che lo scrittore cerca nelle storie d'amore che vive una dopo l'altra con donne sempre diverse, senza mai sentirsi appagato, apprezzandole solo quando fanno ormai parte del suo passato, e riversando il suo senso di vuoto ed isolamento nelle storie che scrive.

Ed in un film che si basa sulla memoria, sui ricordi, sulla ricerca di sé stessi, è quindi naturale che vi si trovi anche la memoria del regista stesso, che in forme e misure diverse inserisce rimandi ai suoi film precedenti, ponendosi nella condizione dei viaggiatori futuristici del romanzo di fantascienza 2046 di cui il personaggio interpretato da Tony Leung è autore, in viaggio per 2046, uno spazio/tempo da cui nessuno fa ritorno, alla ricerca delle loro memorie perdute.

Movieplayer.it

4.0/5