Il Divin Codino, il film di Letizia Lamartire in streaming su Netflix dal 26 maggio, non è qualcosa che può lasciare indifferenti. Perché la storia di Roberto Baggio è la storia di tutti noi, della nostra giovinezza, delle notti magiche dei mondiali. È la storia di tutte le maglie e di nessuna, anzi una sola, la maglia azzurra. Roberto Baggio ha giocato con tante squadre italiane, oltre ad essere diventato un simbolo dell'Italia ai mondiali, forse il nostro giocatore più grande di tutti i tempi. E allora è normale che, in un film, ognuno di noi cerchi il "suo" Roberto Baggio. Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, gli sceneggiatori, hanno scelto di fare ruotare il film attorno a tre momenti chiave della sua storia: gli inizi, il mondiale di USA '94 e gli ultimi anni a Brescia, con il sogno di giocare ancora un mondiale, quello di Giappone e Corea del 2002. Il Divin Codino è la storia del rapporto tra un padre e un figlio, e la storia di un sogno, vincere il mondiale contro il Brasile.
Stefano Sardo: Baggio è la bandiera dell'Italia
Si è parlato proprio di questo, in attesa dell'arrivo di Roberto Baggio, alla conferenza stampa di lancio del film. Di come raccontare Baggio, di cosa mostrare e cosa no, di quello che avveniva in scena e quello che passava in ellissi. "Abbiamo affrontato con terrore la sfida" racconta la sceneggiatrice Ludovica Rampoldi. "Abbiamo pensato di mettere tutta la sua vita. Poi abbiamo scelto tre momenti e su quelli abbiamo costruito la storia di un uomo che sfida il destino ma non lo ottiene. Ma diventa il calciatore più amato d'Italia di sempre". Raccontare Baggio non è una cosa facile. "La sfida era trovare la chiave per raccontare qualcuno che non è stato molto presente sui media" spiega lo sceneggiatore Stefano Sardo, cogliendo nel segno. "Baggio non è sempre presente, non vende qualcosa, non è un brand. Baggio non è la bandiera di nessuna squadra, è la bandiera dell'Italia. La sua storia sembrava scritta, quindi era difficile scriverla". Soprattutto, era difficile raccontare tutti i fatti della sua carriera. "Non volevamo fare Wikipedia, ma andare dentro le ossessioni che ha un atleta. Quando è una promessa del calcio ha un incidente devastante, tanto che la sua carriera non potrebbe nemmeno iniziare. La sua vita è una continua rincorsa, è un continuo sacrificio. È la storia di un fuoriclasse, ma non solo: è la storia di un uomo che paga un prezzo altissimo per utilizzare quel dono. È qualcosa di struggente".
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Tre momenti, come Aaron Sorkin in Steve Jobs
E così il film su Baggio diventa una pièce in tre atti, con delle ellissi di sei anni tra uno e l'altro. "Quando fai un racconto, voler raccontare tutto è il primo errore che puoi fare" riflette Stefano Sardo. "Aaron Sorkin, quando racconta Steve Jobs, mette in scena tre presentazioni di tre computer diversi, ed è una scelta molto forte". Così come è forte la scelta de Il Divin Codino, raccontare Baggio in tre tempi e in modo inedito. "Volevamo raccontare le parti più dolorose, e anche le parti note, far vedere come le ha vissute" aggiunge la regista Letizia Lamartire. "Crediamo che la parte più emotiva sia stata legata a quei momenti".
Andrea Arcangeli: A fare Baggio ti senti le spalle più pesanti di cento chili
Il volto, il corpo, la corsa, le movenze di Roberto Baggio sono tutte racchiuse nell'interpretazione di Andrea Arcangeli, reduce dal successo della serie Romulus, di cui sta girando la seconda stagione. "Quello di Baggio è un ruolo che ti ricopre di responsabilità" riflette l'attore. "Ti senti le spalle più pesanti di cento chili, ti vien da dire: no, nessuno può fare Baggio. Io mi sono fidato di regista, produttori e sceneggiatori, ero il primo scettico, ma ho visto che erano molto decisi". "Mi sono lasciato trascinare. Letizia è stata fondamentale e mi sono aggrappato a lei. Ho dovuto mettere su un fisico da calciatore, parlare la sua lingua, il suo accento. C'erano questi paletti e all'interno di questi paletti dove dare una credibilità alla vita. Altrimenti sei come l'imitatore di Michael Jackson a Piazza del Popolo. che si muove come lui e basta. Roberto mi ha scaricato la responsabilità che avevo nell'interpretare lui. L'unico consiglio che mi ha dato è di fare la mia esperienza, di prendere questa esperienza e godermela". "Il film fatto per il pubblico rischiava di essere limitante per me, rischiavo di fare un fan service, fare qualcosa per gli altri e rendere tutti felici" aggiunge. "Invece dovevo godermi questa occasione unica".
Letizia Lamartire: simulare le immagini storiche e dilatarle a livello cinematografico
Il lavoro sui movimenti di Baggio, sulla postura, sulla corsa, è molto importante. Ma poi c'era da ricostruire quelle partite degli anni Ottanta, e soprattutto Novanta, quei gol di Baggio in America diventati iconici per il gesto tecnico e per l'esultanza. "Lo abbiamo fatto studiando letteralmente tutto il materiale di repertorio" svela la regista Letizia Lamartire. "Cominciavo, vedendole tutti giorni, a riconoscere determinate immagini che sono storiche. Abbiamo fatto il tentativo di simulare alcune immagini che il mondo conosce, ma allo stresso tempo di dilatarle a livello cinematografico. C'era una betacam anni Novanta e abbiamo girato con quella mdp". "Ho cercato delle ambientazioni che ricordassero quei momenti" ci spiega. "C'è stato tutto uno studio, non solo per i costumi calcistici. Abbiamo pensato a come costruire sui personaggi i vari costumi, i vari colori che richiamassero quel momento storico senza essere invadenti". Non serve dirlo, ma il momento più complesso è stato il rigore in finale del '94. "È stato il momento più emotivo, con Andrea ci siamo detti che sono immagini che il mondo ricorda, dobbiamo restituire una nostra emotività, una nostra emozione. È stato il passaggio più delicato".
Andrea Arcangeli: se dentro di te hai un nucleo forte, hai una casa in cui tornare
"Ma poi c'è tutto il lavoro sull'uomo, la parte più emozionante, il lavoro con Andrea e gli attori" aggiunge Letizia Lamartire. "Mettere in scena una persona che amo è stato importante". È ancora Andrea Arcangeli a spiegarci il perché amiamo tanto Baggio. "Ha fatto dei grandi gesti tecnici, ma ha tenuto tutto dentro di sé" riflette. "È per questo che ha voluto tenere tutto molto nel privato, perché è il suo nucleo. Se dentro di te hai un nucleo forte, sincero, hai sempre una casa in cui tornare. Mi ha fatto capire questo: trova un nucleo, sii felice".
Il sogno di un bambino
Il film ruota attorno alla maglia azzurra. "L'amore di Robi per la maglia azzurra è presente in tutti e tre gli atti" commenta Ludovica Rampoldi. "C'è questa storia d'amore, mai compiuta completamente. È tutto dedicato a quella maglia lì, a tutto quello che ha fatto per averla. E poi c'era il rigore: Baggio non aveva mai tirato un rigore in alto. Come mai è andata così? Ci sembrava una domanda da cui partire". Il sogno della maglia azzurra è anche quello di vincere i mondiali contro il Brasile. "Sognare questa cosa da bambino: a chi capita di realizzare il sogno?" riflette Stefano Sardo. "Giocare la finale dei mondiali contro il Brasile. E come si campa, dove averlo fatto? Raccontando quel sogno del ragazzo abbiamo raccontato tutto". "È la storia di un grande amore silenzioso" continua Ludovica Rampoldi. "Da quando aveva tre anni voleva vincere i mondiali: ci sembrava un po' strano a quell'età. E abbiamo legato questo suo sogno al rapporto con il padre: quando in questo rapporto i nodi giungono al pettine è uno dei momenti più belli del film".