Il cinema e un nuovo sguardo sul futuro

Oggi le forme di dominio e controllo da parte di un'elite si manifesterebbero (si manifestano?) con forme e dinamiche del tutto diverse, decisamente più subdole e nascoste, legate fondamentalmente al consumo e alle dinamiche economiche ad esso collegate.

Vorremmo in questa sede ricollegarci al discorso relativo allo speciale Le società future, un'interessante panoramica sui film che raccontano appunti mondi e società future e futuribili. E lo facciamo sfruttando l'uscita dell'ennesimo film che affronta queste tematiche, con chiari e dichiarati riferimenti sia alla letteratura sull'argomento (i vari 1984 di George Orwell, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, Brave New World di Aldous Huxley e persino gran parte dell'opera di Philip K. Dick), che ai film appunto citati nello speciale di cui sopra. Il film è Equilibrium, scritto e diretto da Kurt Wimmer, che racconta di un mondo, dove - dopo una terza e catastrofica guerra mondiale - la panacea per tutti i mali umani è stata trovata nella somministrazione obbligata di un farmaco che annulla la possibilità di provare emozioni. Niente emozioni: niente rabbia, conflitti, gelosie, invidie, guerre; ma anche niente gioia, amore, allegria, felicità, vita. Chi prova emozioni, chi non prende il farmaco, chi è sorpreso a guardare o custodire un quadro, un disco, un libro, viene arrestato ed ucciso.
Nel film che ha segnato il suo esordio, Wimmer si basa fortemente sui mondi immaginati da autori come quelli prima citati, dando vita - tematicamente ed esteticamente - ad un mondo che riprende molte delle ossessioni del nazismo, e comunque delle dittature totalitarie, dove un leader domina su una popolazione sottomessa, omologata, standardizzata, livellata.
È da qui ora che vorremmo partire per una riflessione critica sulla validità di questo genere di sguardo, indipendentemente dal valore puramente cinematografico di Equilibrium o di altri film che citeremo.

Il nodo chiave che a nostro giudizio andrebbe sciolto per essere superato è appunto quello che vede la rappresentazione di questi mondi futuri essere basata su paure, ossessioni, riflessioni che - per quanto possano avere in nuce dei principi assolutamente attuali - sono nate e sono state elaborate diversi decenni fa, mentre noi crediamo che lo sviluppo narrativo di paure ed ossessioni su quella che potrebbe essere una futura società deviata e deviante sia da rivedere e riattualizzare.
Detto in parole estremamente semplici: l'Orwell, l'Huxley, il Bradbury, il Dick della situazione, dovendo scrivere oggi le loro storie, immaginerebbero qualcosa di diverso da quello immaginato decenni fa; qualcosa che si allontana decisamente da un immaginario oramai obsoleto come quello delle società totalitarie e massificanti che hanno rappresentato uno spauracchio fino alla cesura fondamentale degli anni Sessanta e Settanta, dopo la quale la Restaurazione del Potere si è attuata attraverso nuove vie.
Non crediamo abbia ragione di essere - al fine di stimolare critiche e riflessioni - il rappresentare un totalitarismo che si esprime tramite forme di stile hitleriano o stalinista, perché le condizioni e le prospettive socio-economiche che ci circondano rendono inattuale un panorama di questo genere. Oggi le forme di dominio e controllo da parte di un'elite si manifesterebbero (si manifestano?) con forme e dinamiche del tutto diverse, decisamente più subdole e nascoste, legate fondamentalmente al consumo e alle dinamiche economiche ad esso collegate. Forme che s'insinuano sotto la superficie delle cose, lasciando quindi inalterata la mera percezione della libertà personale, che invece ci sarebbe segretamente ed inconsciamente limitata o negata.

È per questo che i due film che a tutt'oggi rappresentano il più interessante sguardo su una possibile società futura sono due film estremamente legati all'illusione e all'illusione di libertà in particolare. Il primo è Matrix (dei fratelli Wachowski, 1999), il secondo è The Truman Show (di Peter Weir, 1998).

Partiamo proprio dal film di Weir: lo sconcertante racconto di un personaggio che vive una vita intera ignaro del fatto di essere il protagonista del più impressionante reality show mai realizzato non trova le sue motivazioni e le sue basi unicamente nel Grande Fratello orwelliano o televisivo, ma si fa metafora dell'uomo contemporaneo a sua insaputa ridotto a consumatore da un lato e prodotto dell'altro. Consumatore perché è l'oggetto (il soggetto) di spot pubblicitari contenuti nel programma di cui è protagonista, che lo spingono al consumo di determinati prodotti, che lui crede utilizzare per sua scelta, ma in realtà perché eterodiretto. Prodotto perché la sua stessa vita è funzionale ad una catena di consumi più grande di lui e del suo mondo, che di lui si alimenta, così come l'industria si alimenta del nostro consumo che quindi si fa prodotto. Non è poi un caso che a sceneggiare il bellissimo film di Weir sia stato quell'Andrew Niccol che ha offerto altri interessanti spunti di riflessione su futuri eventuali e - di conseguenza - sulla nostra società in film come Gattaca e S1m0ne, pellicole che hanno raccolto molto meno di quanto avrebbero meritato.

The Matrix esplora le stesse dinamiche, in forme tutto sommato decisamente simili. Le macchine si alimentano della forza vitale di un'umanità sottomessa e sedata, ma non con sistemi impositivo- totalitari, ma tramite il dono dell'illusione della libertà. La vita vissuta di quanti sono ancora collegati alla matrice è un sogno, per quanto realistico e quasi perfetto nella sua illusorietà. Le macchine - l'industria, il potere economico - regalano un'illusione di libertà in cambio dell'essenza vitale dei singoli, così come la spinta al consumo che ci arriva dalla pubblicità e di riflesso dai condizionamenti sociali ed ambientali, regala l'illusione della libertà di scelta, del miglioramento della nostra vita, ma in realtà incasella tutto e tutti, riuscendo persino ad assorbire le spinte contrarie al loro progetto e di restituire in forme funzionali al consumo.

Al di là di qualsiasi valutazione di tipo politico ed ideologico su questi processi, che in questa sede non interessa, quello che ci preme sottolineare è che - ad ulteriore conferma della crisi di idee che sta vivendo Hollywood - siano ancora troppo pochi i film che nel raccontare ed esplorare questo futuro deviato hanno attuato questo scarto per superare un punto di partenza oramai inattuale.
Sicuramente questo è dovuto anche al fatto che i processi descritti precedentemente non sono stati ancora sufficientemente metabolizzati e rielaborati da parte della società stessa, processi analizzati solo attraverso delle punte avanguardistiche. D'altro canto, mentre le visioni legate ai modelli precedenti sono state "sdoganate" proprio attraverso le esperienze totalitarie tristemente vissute dal nostro pianeta nel corso del secolo scorso, questa nuova realtà politico-economica si è rivelata appieno solo da pochi anni, e mai in forme palesemente aggressive da un punto di vista storico e sociale.
Siamo certi comunque che Hollywood ed il mondo del cinema in generale - che, come sottolineava Luca Liguori in apertura del suo speciale, si sono sempre fatti specchio delle tendenze, delle ossessioni, delle manie e delle paure della società - arriveranno presto ad elaborare flessioni più ampie sull'argomento.