Secondo la moderna astronomia, l'universo è finito. È un pensiero confortante, specie per chi non ricorda mai dove ha lasciato gli occhiali.
Per chi ama il cinema, è impossibile non voler bene a Woody Allen. Perché Woody, nome d'arte di Allan Stewart Königsberg, non è soltanto il comico geniale che ha consegnato al nostro immaginario collettivo alcune delle sequenze e delle battute più divertenti e più citate di sempre, o il cantore di una New York che non è mai apparsa tanto suggestiva e poetica come nei suoi film. Woody Allen è anche e soprattutto l'autore che, attraverso i suoi personaggi complessi e irrisolti, ha saputo raccontare meglio di chiunque altro sia la moderna nevrosi della società contemporanea, sia - un aspetto forse perfino più importante - le piccole, grandi contraddizioni della vita di ciascuno di noi, del nostro rapporto con noi stessi e con gli altri.
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Il più acclamato capolavoro di Woody Allen, Io e Annie (uno dei film del cuore di chi scrive, di quelli che si avrebbe voglia di rivedere all'infinito), si apre con questo monologo: "Due vecchiette sono ricoverate nel solito pensionato per anziani, e una di loro dice: 'Ragazza mia, il mangiare qui fa veramente pena!'. E l'altra: 'Sì, è uno schifo, ma poi che porzioni piccole!'. Be', essenzialmente è così che io guardo alla vita: piena di solitudine, di miseria, di sofferenze, di infelicità e... disgraziatamente, dura troppo poco". È un esempio perfetto della poetica di Allen: un pessimismo cosmico declinato però secondo una pungente ironia, di marca tipicamente Yddish, volta a riflettere (e a far riflettere) sulla necessità di servirsi dell'umorismo come del miglior antidoto ai mali del mondo e alle difficoltà della nostra esperienza quotidiana.
Un'ironia che ha permesso a Woody Allen, anno dopo anno, pellicola dopo pellicola, di conquistarsi un posto insostituibile nel cuore di tutti coloro che, nei personaggi del regista e attore newyorkese, hanno ritrovato almeno qualche frammento di se stessi. Individui di ogni generazione e provenienza, per i quali ogni film di Woody Allen è diventato l'appuntamento, fisso e immancabile, a cui tenere fede. Ma Woody, è bene ricordarlo, oltre ad essere un artista infaticabile (una media di almeno un film all'anno), è anche un autore in grado di destreggiarsi fra una pluralità di registri, generi e influenze completamente agli antipodi; a dispetto di chi vorrebbe etichettarlo come un regista 'ripetitivo', Allen è stato in grado di spaziare dalla parodia tout court al dramma intimista, percorrendo nel frattempo le innumerevoli sfumature fra questi due poli opposti, e inventandosi in pratica una nuova tipologia di commedia che sarebbe poi servita da modello per una quantità incalcolabile di cineasti (da Whit Stillman e Noah Baumbach, tanto per citarne un paio fra i più illustri).
Oggi, Woody Allen spegne ottanta candeline: un compleanno importante, che lui probabilmente avrà accolto con un po' di scaramanzia (il proverbiale timore della vecchiaia). E che anche noi vogliamo festeggiarlo ricordando ancora una volta, casomai ce ne fosse bisogno, quanto siamo grati al suo cinema vitale, sofisticato, profondo e ricco di umanità. Un cinema di cui non potremmo (e non vorremmo) mai fare a meno. E che, nell'impaziente attesa del "prossimo capitolo", Irrational Man (in arrivo nelle sale dal 16 dicembre), vogliamo celebrare proponendovi un'antologia di venti scene cult, nell'arco di due articoli distinti: un'occasione per ripercorrere la filmografia alleniana dalle origini fino alle prove più recenti, fra capolavori riconosciuti e perle seminascoste da riscoprire...
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"Lei era così tenera, così dolce mentre camminava accanto a me nel parco, che dopo quindici minuti avevo già deciso di sposarla. Dopo mezz'ora, avevo rinunciato del tutto all'idea di rubarle la borsetta."
1. Prendi i soldi e scappa: la rapina in banca
Sebbene nel 1966 avesse già firmato in qualità di regista Che fai, rubi? (che consisteva però nel rimontaggio in chiave parodistica e con un doppiaggio ad hoc di uno spy thriller giapponese), il vero e proprio debutto alla regia di Woody Allen risale al 1969 con il delizioso Prendi i soldi e scappa: un antesignano del filone del mockumentary, adoperato dal comico newyorkese per dar vita a una serie di sequenze e di sketch esilaranti nella cornice di un finto documentario dedicato a Virgil Starkell, un "criminale da strapazzo" impersonato dallo stesso Allen. Tantissimi i momenti da antologia, ma fra le scene da ricordare c'è senz'altro la "rapina muta" messa in atto da Virgil, compromessa però da un piccolo inconveniente...
"Oh Sam, che belle parole!" "Sono di Casablanca... ho aspettato tutta una vita l'occasione di usarle!"
2. Provaci ancora, Sam: sulle orme di Humphrey Bogart
Una piccola eccezione: fra le venti scene che abbiamo selezionato, questa è l'unica tratta da un film che non è stato diretto da Woody Allen, bensì da Herbert Ross. Tuttavia, Provaci ancora, Sam rimane principalmente frutto del talento di Woody Allen: la pellicola è infatti l'adattamento dell'omonima commedia teatrale scritta e interpretata da Allen tre anni prima in coppia con la sua compagna di allora, Diane Keaton, destinata a diventare la sua storica partner anche sullo schermo. Uscito nelle sale nel 1972, Provaci ancora, Sam è un irresistibile esempio di commistione fra la commedia romantica ed inserti surreali in chiave comica, con una costante rievocazione (a partire dal titolo) del classico Casablanca, con tanto di uno spettro di Humphrey Bogart che si materializza al fianco del protagonista, Allan Felix, per impartirgli consigli in materia di corteggiamento. E nel finale Provaci ancora, Sam si trasforma appunto in un gigantesco omaggio a Casablanca, riproducendone il famosissimo epilogo.
"Si sentono strane cose, sapete... come queste pillole che prendono le donne, o che nostri interi contingenti si schiacciano con la testa contro un muro di gomma!"
3. Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete mai osato chiedere): all'assalto delle ovaie
Sette domande sulla sessualità umana, oggetto di un noto trattato di sessuologia di quegli anni, costituisono lo spunto sul quale, sempre nel 1972, Woody Allen ha realizzato uno dei suoi film più divertenti: Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete mai osato chiedere). Una pellicola in sette episodi per giocare con i cliché sul sesso, ma anche con gli elementi di base delle teorie freudiane (da sempre una miniera di ispirazione inesauribile per Allen), con una parte finale che è un piccolo capolavoro a sé: l'episodio Cosa succede durante l'eiaculazione?. E nell'arco di pochi minuti, Woody mette in scena le varie fasi dell'atto sessuale dal punto di vista degli spermatozoi, costretti loro malgrado ad avventurarsi in un'impresa rischiosissima da cui potrebbero non fare mai più ritorno...
"Amare è soffrire: se non si vuol soffrire non si deve amare, però allora si soffre di non amare. Pertanto amare è soffrire, non amare è soffrire e soffrire è soffrire. Essere felice è amare, ma allora essere felice è soffrire, ma soffrire ci rende infelici, pertanto per essere infelici si deve amare, o amare e soffrire, o soffrire per troppa felicità... io spero che tu prenda appunti."
4. Amore e guerra: dalla Russia con amore
Nel 1975, Amore e guerra segna l'apice della produzione demenziale alleniana del lustro precedente, nonché il punto d'arrivo di un itinerario cinematografico che, da lì in poi, prenderà una direzione ben diversa. In assoluto la migliore fra le varie parodie firmate da Allen nella prima metà degli anni Settanta, Amore e guerra si basa sui modelli della grande letteratura russa, in particolare Lev Tolstoj, per elaborare un'irresistibile racconto di passioni, avventure e intrighi ambientato in una fittizia Russia di inizio Ottocento, fra suggestioni romanzesche e gag spettacolari. Difficile scegliere un'unica sequenza in un film ricchissimo di invenzioni gustosissime, ma questo dialogo a colpi di sillogismi filosofici fra Sonja (Diane Keaton) e Natasha (Jessica Harper) rimane una delle vette della comicità alleniana.
"Forse è il primo appuntamento. Si saranno conosciuti con un'inserzione sulla rivista Vita ermeneutica: accademico trentenne desidera conoscere donna interessata a Mozart, James Joyce e sesso anale."
5. Io e Annie: sesso, terapia e Marshall McLuhan
Non sapremmo neppure da dove iniziare per esprimere la genialità, la tenerezza, il romanticismo, l'ironia... in una parola, la meraviglia di un'opera come Io e Annie. Imprescindibile pietra angolare del cinema alleniano, film rivoluzionario nell'approccio narrativo, nel linguaggio e nella commistione di registri, fra autobiografismo e parentesi surreali, Io e Annie, ricompensato con quattro premi Oscar (incluso il trofeo come miglior film del 1977), non è solo una delle più belle love story mai viste sul grande schermo, ma una di quelle pellicole che si lasciano rivedere, anche per la centesima volta, con la stessa dose di entusiasmo, divertimento e nostalgia. Ogni singola sequenza di Io e Annie meriterebbe un posto in un'ideale silloge del cinema alleniano, ma dovendo limitarci a un'unica scena di questo intramontabile capolavoro, abbiamo scelto di riproporvi quella della fila al cinema, con i due protagonisti, Alvy Singer (Woody Allen) e Annie Hall (Diane Keaton), impegnati a discutere del loro "problema sessuale", mentre dietro di loro qualcuno sputa sentenze su Federico Fellini e il sociologo Marshall McLuhan è pronto a intervenire al momento opportuno...
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"Io ti trovo veramente troppo perfetta per essere di questo mondo. In tutte quelle stanze stupendamente ammobiliate, quegli interni curati nel minimo particolare, tutto così controllato... non c'era nessuno spazio per dei sentimenti veri."
6. Interiors: le pareti dell'anima
Nel 1978, reduce dall'enorme successo e dalla pioggia di premi di Io e Annie, Woody Allen lasciò stupefatti critica e pubblico con un progetto considerato, allora, quanto di più lontano si potesse immaginare dal suo cinema: Interiors. Prima incursione di Allen nei territori del dramma (e primo film in cui non compare come attore), Interiors è un'opera chiaramente ispirata al cinema di Ingmar Bergman, ma in cui Allen va ben oltre la sterile imitazione, raggiungendo sorprendenti livelli di intensità e di pregnanza emotiva nella descrizione dei sentimenti contrastanti che legano fra loro tre sorelle e le conseguenze della separazione dei loro genitori. In questo film magnifico, la scena più memorabile e devastante è la lunga sequenza quasi onirica, in prossimità del finale, in cui Joey (Mary Beth Hurt) si confronta duramente con la madre Eve (Geraldine Page), apparizione fantasmatica nell'ombra notturna della loro grande casa in riva all'oceano; ma all'arrivo improvviso di Pearl (Maureen Stapleton), la nuova compagna del padre di Joey, seguirà un tragico momento di catarsi.
"Bergman? Bergman è l'unico genio del cinema d'oggi forse." "Lui è talmente scandinavo, che tetro, mio Dio! E poi tutto quel Kirkegaard, è pessimismo adolescenziale, che è un fatto di moda. Voglio dire: Il silenzio, Il silenzio, oddio, okay okay okay, certo mi piaceva molto quando ero a Harvard, ma mio Dio, esiste il superamento... anche i Bergman li superi!"
7. Manhattan: l'accademia dei sopravvalutati
Se Io e Annie è, appunto, la pietra angolare del cinema alleniano, Manhattan, realizzato nel 1979, rimane l'altra opera leggendaria nella produzione di Woody: il capolavoro sulla precarietà dei rapporti sentimentali in epoca moderna, ma anche un atto d'amore commosso e appassionato alla città di New York (fin dal mitico incipit, accompagnato dalla musica della Rapsodia in blu di George Gershwin). Come Io e Annie, pure Manhattan offre una clamorosa quantità di sequenze e di battute cult (una su tutte, l'elenco delle dieci cose per cui vale la pena vivere), ma la nostra scelta ricade sul primo, esilarante incontro/scontro fra il personaggio di Isaac Davis (Woody Allen), autore televisivo fidanzato con l'adolescente Tracy (Mariel Hemingway), e la giornalista Mary White (Diane Keaton), donna sofisticata e snob che suscita le ire di Isaac snocciolando un elenco di grandi artisti da inserire in una sorta di "accademia dei sopravvalutati". Ovviamente, a dispetto dei differenti gusti in campo culturale, il colpo di fulmine fra Isaac e Mary è dietro l'angolo...
"Ho appena incontrato un uomo stupendo... è immaginario, ma non si può mica avere tutto!"
8. La rosa purpurea del Cairo: quando il cinema incontra la realtà
Uno dei soggetti più originali e sorprendenti del cinema di Woody Allen: è quello al cuore de La rosa purpurea del Cairo, commedia romantica a tinte fantastiche del 1985, basata sull'emblematica compenetrazione fra arte e vita, fra la monotonia della realtà quotidiana e il potere immaginifico del cinema. Mia Farrow, nuova compagna e musa di Allen, interpreta il ruolo di Cecilia, moglie frustrata nell'America della Grande Depressione, che nel buio della sala di un cinema trova la sospirata via di fuga ai propri problemi. Ma cosa accade nel momento in cui Tom Baxter (Jeff Daniels), l'affascinante avventuriero protagonista di un popolare film d'avventura, esce letteralmente dallo schermo per correre incontro a Cecilia? Il corto circuito fra la realtà e la finzione narrativa è riprodotto in questa sequenza in maniera a dir poco strepitosa...
"E se anche fosse vero il peggio? E se Dio non ci fosse e tu campassi una volta sola e amen? Be', non vuoi partecipare all'esperienza?"
9. Hannah e le sue sorelle: il silenzio di Dio e i fratelli Marx
Un altro, straordinario capolavoro del cinema alleniano: è Hannah e le sue sorelle, commedia corale in cui una serie di linee narrative si intrecciano, nel corso di due anni, sullo sfondo dei quartieri alti di New York. Uscito nel 1986 e ricompensato con tre premi Oscar, Hannah e le sue sorelle sviluppa una pluralità di tematiche da sempre care alla poetica di Woody Allen, inclusa la disperata ricerca di un senso dell'esistenza: un aspetto che caratterizza la figura di Mickey Sachs (interpretato dallo stesso Allen), scrittore televisivo nevrotico e ipocondriaco, che dalla religione prova invano ad ottenere delle risposte sul "silenzio di Dio". La scena del suo tentativo di suicidio, seguito dalla visione de La guerra lampo dei fratelli Marx, costituisce un'ode al potere salvifico dell'arte - e del cinema - come migliore forma possibile di reazione contro l'angoscia esistenziale dell'essere umano.
"In contrasto con la sua precedente baldanza, il signor Manulis, preso dal panico, schizzò fuori dalla macchina. Era così spaventato dalla cronaca dell'invasione interplanetaria che fuggì lasciando zia B a vedersela con i viscidi mostri verdi, che da un momento all'altro lui si aspettava piombassero dal cielo."
10. Radio Days: zia Bea e la guerra dei mondi
L'Amarcord di Woody Allen: realizzato nel 1987, Radio Days è un film divertente e poetico, pervaso di lieve malinconia, in cui i ricordi dell'infanzia trascorsa dal regista durante gli anni della guerra si confondono con i motivi musicali dei più celebri standard dell'epoca. Una miniera di gag e di sequenze impagabili, fra cui vale la pena ricordare quantomeno un disastroso primo appuntamento a cui va incontro la zia del protagonista, Bea (Dianne Wiest): in un'auto in panne circondata dalla nebbia, la trasmissione radiofonica de La guerra dei mondi ad opera di Orson Welles scatena il panico nel pavido corteggiatore di zia Bea, che la abbandonerà da sola a vedersela con i marziani...
Continuiamo a festeggiare domani con la seconda parte di questo articolo. Ancora buon compleanno, Woody!