Recensione Wrong Turn (2003)

Arriva nelle nostre sale un ennesimo horror statunitense che "chiude" virtualmente una stagione nella quale si è vissuto il grande rilancio del cinema dell'orrore che getta le sue radici nel profondo della provincia e della cultura americana (e non solo), dai lati oscuri della natura umana.

Il cerchio si chiude

Nel bel mezzo di questa estate 2004, arriva nelle nostre sale un ennesimo horror statunitense che "chiude" virtualmente una stagione nella quale si è vissuto il grande rilancio di un classico del genere come Non aprite quella porta e più in generale del cinema dell'orrore che getta le sue radici nel profondo della provincia e della cultura americana (e non solo), dai lati oscuri della natura umana.

Dopo il remake del film di Tobe Hooper e dopo La casa dei 1000 corpi, è ora il Wrong Turn diretto da Rob Schmidt a riprendere le fila di quel discorso; e lo fa in maniera efficace e non banale sia dal punto di vista puramente narrativo che da quello concettuale. Ancora una volta la trama di base è quella di Non aprite quella porta: un gruppo di ragazzi, rimasti con le loro auto in panne nel bel mezzo di un bosco isolatissimo della Virginia, diventano vittime di una famiglia di maniaci assassini, resi folli e deformi - come ci viene "spiegato" nel corso dei titoli di testa - da alterazioni genetiche dovute ad un eccesso di unioni tra consanguinei.

Quest'ultimo dato (nel suo unire l'ancestralità del "problema" e la modernità dell'analisi genetica) è molto interessante per la valutazione delle tematiche del film, così come alcuni dettagli dell'assunto di base, che chiariscono in maniera sottile ma incisiva come tutto il film giochi sulla dialettica tra città e provincia, tra modernità e antichità, tra progresso e conservazione. Altro esempio ne è il fatto che uno dei protagonisti (colui che causa l'incidente bloccando in quella sgradevole situazione se stesso e gli altri suo compagni di sventura) affronta la strada che attraversa il bosco nella lotta contro il tempo per raggiungere un colloquio di lavoro: si potrebbe quindi dire che è per tentare di stare al passo con la frenesia della modernità che ci si ritrova inevitabilmente a fare i conti con i lati più oscuri della provincia, della natura, e quindi della psiche umana.

Considerati questi temi, non è allora un caso che - come gli altri horror della stagione fin qui citati, ma anche come il sottovalutatissimo Cabin Fever - anche questo Wrong Turn abbia un forte legame non solo con Non aprite quella porta, ma anche come un film non strettamente appartenente al genere horror che declinava con maggiore realismo gli stessi concetti come Un lungo weekend di paura, senza dimenticare poi molti punti di contatto con quel Le colline hanno gli occhi che è stato un altro dei film chiave per questo tipo di tematiche e situazioni.

Se quindi Non aprire quella porta, Un lungo weekend di paura e Le colline hanno gli occhi sono evidentemente i tre forti e facilmente distinguibili punti di riferimento, è importante sottolineate che Wrong Turn non rimane succube di questi modelli originari ma riesce a metterne in scena tematiche e situazioni in maniera originale e riuscita. Rob Schmidt ha girato infatti il suo film con uno stile decisamente meno piatto della media, riuscendo ad essere personale e mai scontato anche nelle scene che sulla carta potevano riservare colpi di scena scontati o "telefonati". Fin dalle prime battute della pellicola la tensione va in crescendo, culminando in alcune sequenze notturne in cui nel bosco non sono tanto scene di fuga quanto di vero e proprio assedio. Se a tutto questo si aggiunge una messa in scena esplicita nella rappresentazione della violenza e del sangue, ed una delle morti più sorprendenti e divertenti viste al cinema degli ultimi tempi, risulta che Wrong Turn non è solo un film interessante per l'operazione che effettua riflettendo sull'oscuro della provincia e sui lati più ancestrali della natura umana, ma che risulta divertente, godibile e "scomodo", come il cinema horror dovrebbe sempre essere per non tradire la sua natura più intima.