Il Big Bang di Takeshi-san
"Tutto è cominciato con uno yakuza eiga" recita una delle battute iniziali di Glory to the Filmaker!. E' vero, la carriera registica di Takeshi Kitano ha avuto inizio proprio con quel Violent Cop involontariamente "scippato" a Fukasaku in effetti. Segue un percorso autoriale che a più riprese ha portato alla definitiva rivoluzione di un genere essenziale a disegnare la mappa storica del cinema giapponese, quello sugli yakuza, appunto. Poi c'è stato Takeshis', e l'annuncio di una trilogia con cui Kitano desidera proclamare il proprio addio (?) al cinema sui gangsters e alla violenza. Ormai l'ha dichiarato in tutte le interviste, il dado è tratto, non si può più tornare indietro; ed è esattamente sul terrore delle conseguenze di una dichiarazione tanto radicale e definitiva che si srotolano le prime sequenze della seconda follia creativa di questo trittico.
Cosa fare dopo dunque? Quali sono le alternative verso le quali un regista può indirizzare le proprie energie e un autore cercare nuovi stimoli creativi? Kitano sembra proprio non trovare una risposta. Inutile il tentativo di recuperare il cinema di Ozu e quelle "storie di gente comune" che caratterizzavano le pellicole del passato; si tratta di roba superata (chi lo vedrebbe oggi un film dal titolo Pensionamento?) e inadatta ad essere raccontata da Kitano. Il suo maggior successo al botteghino è stato Zatoichi, ma nemmeno l'idea di rituffarsi nelle arti marziali funziona. Tentare con nuovi generi, il melodramma o piuttosto l'horror, non fa che mettere in evidenza i limiti creativi verso generi che non gli appartengono, mentre la banalità è in agguato come una malattia. Un miscuglio di generi e un traboccare di quesiti, è questo il folgorante inizio di questo film, finché un'idea non sembra prendere forma: forse la fantascienza offre possibilità ancora inesplorate!
Un asteroide minaccia la Terra; in un film americano ci sarebbe certamente un eroe pronto ad immolarsi per il nostro pianeta. Nel film di Kitano invece, a questo punto la scena tutta è lasciata al delirio; un frullato di idee - o assenza di idee - che rimandano alla scanzonatezza di Getting Any? e al totale gusto (auto)dissacratore di Takeshis'. Domina il nonsense più puro nel susseguirsi di siparietti demenziali che compongono questa pellicola, e se l'incomprensibilità di un lavoro come questo possa essere specchio di una tangibile ed apparentemente invalicabile crisi creativa - non certo immaginata e saldamente strutturata come quella di Fellini, ma concreta e proposta al pubblico in tempo reale - è impossibile e a dirla tutta anche inutile dirlo. Certo è che risulta difficile credere che Kitano non abbia davvero più nulla da dire, anche se lontano dal cinema noir. Quello che è evidente di questo Kantoku Banzai è la sua funzione: disinfestare e ripulire la testa del suo regista. Quando l'asteroide si abbatte sulla Terra e rade al suolo tutti i più o meno abbozzati personaggi proposti nel film non resta null'altro che il cervello in pezzi di Takeshi-san. Un'esplosione purificatrice, uno sfogo esplicito, un suicidio creativo in effetti, per poter ripartire definitivamente da zero. E chissà se da queste ceneri prenderà forma il capitolo conclusivo.