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È un film di malinconie, silenzi, sospensioni e frammenti di una Napoli guardata dallo spioncino, questo nuovo adattamento per la sala firmato da Roberto Andò, che dopo Sotto falso nome e Il trono vuoto, torna a portare sullo schermo un suo romanzo. Come leggerete più ampiamente nella recensione de Il bambino nascosto, in sala dal 3 novembre, il mondo e i personaggi che si agitano sulla scena, tra il cortile e l'appartamento di una palazzina scalcinata nel Rione Sanità, e le strade che vi si snodano intorno, sono i principali attori di una storia che ha ben poco dei cliché a cui certe narrazioni partenopee ci hanno abituati. Nessun folclore, niente immagini cartolina, né sparatorie tra i bassi napoletani, ma una storia crepuscolare, malinconica, a tratti quasi notturna. Il merito va cercato da un lato nella naturale propensione di Andò per la misura, le atmosfere rarefatte, il labirinto della psiche umana e gli interrogativi esistenziali, e dall'altro nelle interpretazioni di Silvio Orlando e del piccolo Giuseppe Pirozzi, il bambino nascosto del titolo.
La storia tra atmosfere sospese e racconto criminale
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Il bambino nascosto è una creatura strana fatta di mistero e citazioni, da Totò al poeta greco Konstantinos Kavafis. Roberto Andò non si discosta molto da alcuni punti fermi della riflessione intellettuale e filosofica che da sempre percorre la sua filmografia, e il film si rivela un esperimento riuscito. La storia dai contorni noir si svela lentamente allo spettatore e lo traghetta verso l'epilogo attraverso il rapporto che coinvolgerà i due protagonisti. Gabriele Santoro è un maestro di musica, è un omino colto, solitario, silenzioso, composto, prigioniero dell'appartamento che ne custodisce segrete passioni e una vita all'insegna dell'invisibilità, in un quartiere popolare di Napoli. Insegna pianoforte al Conservatorio San Pietro a Majella, ai suoi studenti continua a ripetere che sono "decisamente in ritardo rispetto a chi ha fatto grande l'arte pianistica", avaro di sentimenti si tiene in allenamento recitando a memoria alcune poesie, come nella scena iniziale del film: "Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze.Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni...", recita una mattina mentre si rade declamando i versi struggenti di Itaca di Kavafis.
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E sarà un viaggio lunghissimo quello che inizia proprio quando a tarda sera scopre in casa la presenza di un ragazzino di dieci anni, Ciro, che si è intrufolato nell'appartamento di nascosto. L'intruso è un bambino che abita al piano di sopra in fuga dalla propria famiglia e dalla camorra, come scoprirà Gabriele solo più avanti. Nonostante tutto il professore decide di accoglierlo e prendersene cura, nascondendolo da chi lo vorrebbe morto per aver scippato insieme a un amico la madre del camorrista De Vivo. Anche Ciro come il suo ingenuo 'salvatore' ignora la grammatica dei sentimenti, ma è il dazio che deve pagare chi ha dovuto rinunciare presto alla propria infanzia.
Entrambi saranno i protagonisti di uno "svezzamento affettivo" reciproco, un'educazione sentimentale che si intreccerà con il racconto criminale.
Napoli, la camorra, il viaggio verso la libertà
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La catena di eventi è scandita dallo scampanellio ripetuto e continuo all'interno di quell'osservatorio privilegiato che è la casa del maestro, e dall'avvicendarsi dei personaggi più svariati che bussano alla sua porta: un ex allievo, Diego, ora alle dipendenze del boss De Vivo, l'amante (Francesco Di Leva) e un fidato accordatore di pianoforte. Tutto ciò che accade passa dalla dialettica dentro-fuori: fuori dalle finestre di quell'edificio malandato, nelle stradine che lo circondano o sul terrazzo, e dentro quell'appartamento-prigione, dove Gabriele e Ciro sperimenteranno prima una convivenza quasi forzata, poi un rapporto padre-figlio. La camorra pur onnipresente assume i contorni di un nemico invisibile, un'entità che striscia nel groviglio di vicoli della Napoli sotterranea, fuori dalle finestre, nel cortile di un edificio malridotto, un mutaforma capace di abitare a pochi passi dalla quotidianità raffinata e protetta di un adulto di buona famiglia in ritiro dalla vita. Per farlo ha scelto quel quartiere in cui i gesti, le parole e i suoni della malavita invadono qualsiasi territorio franco, tranne forse quello del suo appartamento dove si fa spazio seppur timidamente una possibilità di salvezza, quella che neanche la legge può garantire a un bambino come Ciro: "La vita è piena di zone d'ombra e la giustizia si deve arrendere. Dovessi scegliere tra la legge e l'amore, sceglierei l'amore", dirà il vecchio padre a quest'uomo tenace e indolente nell'unico incontro che li vede protagonisti.
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Silvio Orlando scompare dentro Gabriele dando vita a uno dei suoi ruoli più maturi, ma la vera rivelazione è il piccolo Giuseppe Pirozzi, scelto dopo mille provini e con un'abilità a entrare nel personaggio che appartiene solo ai grandi. Non c'è momento in cui risulti difficile credergli, né quando lo si vede giocare a imitare Totò insieme a Orlando e nemmeno durante le esibizioni canore sulle note di Nisciun del rapper Luché. "N'tengo paura 'e nisciune" è il suo mantra, una frase che nel finale assurge a manifesto dell'intero film.
Conclusioni
Concludiamo la recensione de Il bambino nascosto ribadendo l’apprezzamento per un film che esplora gli abissi del crimine per mezzo di una riflessione calma e dai risvolti esistenziali. Innovativo anche il modo in cui Roberto Andò restituisce l’immagine di Napoli: guardandola dallo spioncino, da dietro le finestre, attraverso l’osservatorio privilegiato del territorio franco che è l’appartamento del silenzioso maestro di musica. La camorra è un’entità che si agita tutto intorno, e invade ogni rapporto. L’adulto e il bambino protagonisti sono gli unici a fornire un’alternativa, una via di salvezza per entrambi.
Perché ci piace
- L’eleganza e la raffinatezza dello sguardo con cui Roberto Andò combina racconto criminale e educazione sentimentale.
- Silvio Orlando nei panni di un professore di musica dimesso e solitario, dà vita ad uno dei suoi ruoli più maturi e crepuscolari.
- Il piccolo Giuseppe Pirozzi è per sincerità e naturalezza la vera rivelazione del film.
Cosa non va
- Il film potrebbe deludere lo spettatore meno avvezzo a atmosfere rarefatte e un racconto per sottrazione, spesso fatto di silenzi.