Da bambino mettevo i miei personaggi preferiti contro il vetro con un foglio bianco sopra e li ricalcavo. Lo facevo abitualmente per imparare a disegnare Goldrake con il suo pilota Actarus e gli altri robot che a seguire hanno invaso le nostre tv, ma a cascata più o meno tutti i cartoni animati che guardavo alla fine degli anni '70, per lo più anime. Se fossi bambino oggi, forse non lo farei, forse avrei già imparato che mi basterebbe dire a uno dei tanti tool di generazione immagini "disegnami Goldrake che combatte con un mostro" o qualunque altro prompt più o meno complesso per avere esattamente l'immagine che desidero, senza impazzire a trovare i riferimenti giusti da copiare. Senza fatica. E, probabilmente, senza imparare nulla.

Poco male, direte voi, visto che quell'impegno non è servito a rendere chi scrive un disegnatore. Lo dimostra il fatto che è qui a elaborare un testo per comunicare, piuttosto che affidarsi a un media visivo. Ma all'epoca dei disegni ricopiati qualche skill si era sviluppata o quantomeno era stata messa alla prova. Insomma, quello sforzo era servito a prendere confidenza con le propria abilità e, purtroppo, i propri limiti. Si impara anche da questo, no?
Copiare Miyazaki e Studio Ghibli

L'exploit delle immagini in stile Ghibli dell'ultimo periodo, quindi, la capiamo, perché è naturale voler riprodurre un approccio visivo che ci piace, ricopiarlo e magari padroneggiarlo abbastanza per usarlo per altro che non sia il disegno originale in tutto e per tutto. Lo capiamo perché, in fondo, uno degli anime a cui attingevamo da bambini era Heidi, che proprio da Miyazaki veniva. Capiamo e non condanniamo, né vogliamo entrare in questa sede nel dibattito sul copyright, che andrebbe affrontato seriamente e diffusamente da parte di chi definisce delle regole (o dovrebbe farlo), perché c'è una differenza sostanziale tra il singolo che copia, o potremmo dire si ispira a uno stile, per diletto e uso personale, rispetto a una produzione automatizzata e massificata di quello stesso processo.

Allo stesso modo condividiamo la riflessione sulla mancanza di sforzo e impegno nel processo, espressa da tanti sui social nei giorni scorsi, che rischia di togliere importanza al lavoro artistico e ciò che comporta: l'immediatezza del risultato mina la nostra consapevolezza di quanto lavoro ci sia non solo per ottenere quel singolo disegno, ma anche per definire e rifinire quello stile unico che tanto amiamo.
La differenza nei grandi numeri
La differenza, lo sottolineiamo ancora, non è nel ragazzo che ricopia contro il vetro o, nella versione pro di quest'attività, al tavolo luminoso. La differenza è nel numero, consentita dalla rapidità, nella semplicità che svilisce il lavoro, nell'immediatezza che spazza via la percezione del valore. Si può obiettare, come qualcuno ha fatto, che proprio quel numero elevato di produzione e condivisione di immagini ha diffuso il brand Ghibli, facendolo conoscere a un pubblico vasto, che in parte poteva essere anche a digiuno delle opere del sensei. Un servizio, quindi, per il quale magari Ghibli non solo non dovrebbe essere pagata per i diritti sfruttati, ma addirittura riconoscere un compenso?

Regole, come dicevamo, che vanno ragionate, definite e limate per dare il giusto peso e giusto valore alle cose. Per evitare che si scatenino polemiche su polemiche, che si alimentino le paure già presenti nei confronti di una tecnologia che può essere uno strumento valido, potente e utile, se usato come tale. L'importante è imparare a conoscerlo, capirlo, studiarlo. Senza partire prevenuti a causa dell'ultima divisiva polemica social. Casi come quello degli ultimi giorni fanno male allo sviluppo di una tecnologia, la rende quel male assoluto su cui riflette il corto The Prompt, su RaiPlay dal 9 aprile dopo la presentazione a Torino e oggetto di un incontro al 24 Frame.
E se..?
Dibattiti necessarie e polemiche inevitabili a parte, a guardare quelle immagini che impazzavano in rete e ripensando al ricordo condiviso in apertura, è emersa poco a poco una preoccupazione, un'ombra di pensiero che nuotava minacciosa sotto la superficie della coscienza e che poco per volta si è fatta più netta, definita, evidente: e se meno bambini si impegneranno a riprodurre quello amano? Se alcuni potenziali artisti in erba non si metteranno alla prova e non scopriranno poco per volta di avere nel proprio cuore e nella propria manualità gli strumenti per poter creare qualcosa di proprio e non solo riprodurre quanto fatto da altri. Se, insomma, un domani dovessimo avere meno artisti come Hayao Miyazaki perché la realtà in cui si trovano a crescere è meno sfidante e stimolante in quanto a creatività?

Un pensiero da boomer che abbiamo scacciato, relegandolo a un angolo della nostra mente in attesa di poterlo zittire definitivamente con i fatti, consci che ogni epoca ha le sue caratteristiche, le sue novità e le sue derive, che non hanno mai frenato le pulsioni artistiche dell'essere umano. Che l'arte, come la vita, trova sempre una via.